Un altro patto sulla produttività è possibile? Ne è convinto un gruppo di economisti che ha lanciato un appello a governo e parti sociali per modificare l’accordo appena sottoscritto senza la firma della Cgil. L’iniziativa parte da quattro economisti (Nicola Acocella, Riccardo Leoni, Paolo Pini e Leonello Tronti), ma l’appello (scarica il pdf) è già stato sottoscritto da quasi cento studiosi delle più diverse discipline. Ne citiamo solo alcuni: Aris Accornero, Laura Pennacchi, Domenico Carrieri, Umberto Romagnoli. Qui l’elenco completo.

Nell’appello gli economisti sottolineano l’importanza di un accordo “che stimoli la crescita della produttività e della competitività”. “La volontà delle Parti sociali – scrivono - di giungere alla firma di un accordo programmatico per fermare il declino del sistema industriale italiano e muoversi in una prospettiva di crescita non può e non deve essere sprecata. Troppo evidenti sono, da un lato, le difficoltà di cui soffre il nostro sistema produttivo, così come, dall’altro lato, la necessità di offrire una prospettiva di crescita economica sostenibile e di benessere per le future generazioni”.

Ma, “proprio perché condividiamo questa necessità e urgenza”, si legge nell’appello, “riteniamo che il testo dell’accordo sulla produttività (…) proposto da Confindustria (e successivamente firmato a Palazzo Chigi, ndr) costituisca un riferimento importante ma non conclusivo del confronto tra le Parti sociali. Questo testo deve essere migliorato affrontando i nodi ancora aperti, al fine che tutte le Parti sociali possano porvi con convinzione la loro firma”.

L’appello sottolinea tre punti sui quali è necessario ancora lavorare: la democrazia sindacale e la rappresentanza, il collegamento tra premi di produttività e risultati d’impresa centrati sull’innovazione, la difesa dei salari e del livello nazionale della contrattazione.

I tre punti dell’appello
1) "Non è opportuno accordarsi sul merito di quanto deve essere fatto nella contrattazione collettiva per innescare un circolo virtuoso tra crescita delle retribuzioni e crescita della produttività prescindendo dalla questione aperta della democrazia sindacale, della certificazione della rappresentanza, della esigibilità degli accordi sottoscritti, dei diritti di rappresentare e contrattare - diritti da garantire sia per i firmatari che per i non firmatari degli accordi. Vi sono i presupposti condivisi nell’accordo del giugno 2011; occorre solo darne attuazione, per via negoziale tra le confederazioni o, in subordine, per via legislativa."

2) "Gli strumenti di incentivazione fiscale per la diffusione della contrattazione di secondo livello e l’estensione delle retribuzioni variabili tramite la contrattazione di secondo livello (detassazione e decontribuzione) risultano efficaci solo se si introducono meccanismi di collegamento tra retribuzioni e risultati d’impresa centrati su: innovazione tecnologica ed organizzativa interna alle imprese; innovazione di prodotto e di qualità dello stesso; nuove tecnologie di produzione basate sulle ICT; nuovi disegni organizzativi dell’impresa e del lavoro; processi formativi, di valorizzazione e responsabilizzazione delle risorse umane, di coinvolgimento e partecipazione dei dipendenti e delle loro rappresentanze nella organizzazione del lavoro e della produzione (in attuazione dell’art. 46 della Costituzione). Essenziale risulta l’attivazione delle complementarità tra questi fattori che rendono moltiplicativo il loro impatto sulla produttività. Ogni scorciatoia che prediliga tradizionali indicatori di produttività e redditività output-oriented rischia di rendere inefficace il meccanismo premiante che si intende introdurre, lasciando aperta la strada a forme di salario variabile “cosmetiche” con effetti nulli sulla competitività delle imprese. Modelli di incentivazione dello sforzo lavorativo o di suddivisione del rischio sono tipici di concezioni di impresa arcaiche che introducendo comportamenti non-virtuosi possono perfino abbassare la produttività, la redditività e la competitività dell’impresa e dell’economia nel suo complesso, accrescendo le zone di rendita già presenti, che ostacolano le opportunità di ripresa."

3) "La strategia che tende a far crescere il ruolo della contrattazione di secondo livello, aziendale e territoriale, a scapito di quella di primo livello, nazionale, in ragione anche della ridotta estensione attuale della contrattazione decentrata, corre il rischio di produrre una ulteriore riduzione delle protezioni e delle tutele che solo il contratto nazionale garantisce ai lavoratori dipendenti; al contempo con questa strategia si rischia che una quota della retribuzione certa fissata col contratto nazionale sia trasformata in retribuzione incerta perché variabile definita a livello decentrato, vanificando quell’aumento delle retribuzioni reali auspicato da molti come utile misura per sostenere la domanda interna, a tutto svantaggio non solo dei lavoratori ma del sistema delle imprese e dell’economia nel suo complesso".

Si obietterà: fuori tempo massimo. L’accordo è già stato firmato. O forse no, c’è ancora tempo per cambiare le cose.

(Chi vuole aderire all’appello può scrivere a pnipla@unife.it indicando nell’Oggetto: Aderisco all’Appello “Un Patto che….” e nel testo: Nome, Cognome, qualifica, città.)