Con le dimissione anticipate del governo, l’Italia è entrata in piena campagna elettorale e non si può più rinviare, per le diverse forze politiche, l’esigenza di esplicitare le politiche economiche e fiscali da avviare subito dopo il voto e di definire le proposte per fronteggiare l’emergenza economica e sociale. Senza voler tracciare in questa sede un bilancio delle politiche fatte dal governo“tecnico”, non c’è dubbio che sul terreno fiscale ci sono stati molti annunci e poche decisioni e, se gli annunci avevano fatto sperare in un allargamento della base impositiva e in uno spostamento del prelievo sui redditi più elevati, le decisioni hanno confermato una linea di azione già nota: quando la casa brucia e occorrono soldi per domare l’incendio e riequilibrare il bilancio pubblico è sempre più facile agire sulla massa dei contribuenti con prelievi generalizzati che sui contribuenti più ricchi con prelievi mirati.

Così è stato per l’innalzamento dell’Iva, così è stato per la Tobin Tax – alla quale avevamo dato il benvenuto –, partita bene con l’annuncio e uscita annacquata con la legge di stabilità, che ha sfumato proprio la tassazione delle operazioni più speculative. Così è stato, soprattutto, con il prelievo generalizzato sulle prime case di tutti, piuttosto che con un’imposizione progressiva, perché a questo si è ridotta la patrimoniale, parola che per un momento sembrava essere uscita dalla bocca del presidente Monti, ma che si è subito fermata sulle sue labbra e, anzi, tra indiscrezioni, precisazioni e smentite, non si è capito nemmeno se fosse stata davvero pronunciata.

È rimasta però quella vera e propria via crucis che i proprietari di abitazioni hanno dovuto fare con i tre appuntamenti per pagare e con le incertezze fino alla fine sulla quota spettante all’ente locale; è rimasta quell’Imu che in effetti è una vera imposta patrimoniale, ma che così non si chiama, perché la paura di chiamare le cose con il loro nome prevale e si preferisce camuffarle sotto le etichette più diverse e, soprattutto, presentarle sotto forma di emergenza e quindi di straordinarietà. Il che consente, e già lo spettacolo è cominciato, di assistere a ogni appuntamento con le urne all’uso elettorale del prelievo fiscale, con chi promette di togliere quello che chi ha amministrato prima ha introdotto, di ridurlo, di modificarlo, senza che emerga con la necessaria chiarezza se e perché si debbano tassare i patrimoni, e quali, e come.

Fisco, ricchezze e disuguaglianze

Eppure le ragioni perché se ne parli e perché una patrimoniale vera venga introdotta non mancano e, anzi, emergono periodicamente ogni volta che vengono resi noti dati sulla ricchezza e sulla sua distribuzione. Proprio a dicembre, subito dopo che l’Istat aveva pubblicato le stime sui redditi delle famiglie e sul rischio povertà che molte di esse corrono, oltre a quelle che il rischio l’hanno superato precipitandovi, la Banca d’Italia ha fornito le ultime cifre sulla ricchezza degli italiani, dalle quali risulta un fatto incontrovertibile: in Italia c’è una forte patrimonializzazione, che ci colloca ai primi posti al mondo. Ne discende che se si vogliono cercare cespiti da prendere in considerazione per un’equilibrata applicazione del prelievo fiscale, il parametro più largo, la base impositiva più ampia cui fare riferimento, non può essere solo il reddito, ma dovrebbe essere anche il patrimonio.

Ma non c’è solo questo
, c’è un altro fattore importante: i patrimoni sono più fortemente concentrati dei redditi, cioè nella distribuzione dei patrimoni ci sono più disuguaglianze che in quella dei redditi. Se infatti l’indice Gini, che misura il grado di concentrazione dei redditi, è pari a 0,351, quello calcolato sulla ricchezza è pari a 0,624: la disuguaglianza che risulta esistere nella distribuzione dei patrimoni, insomma, è doppia rispetto a quella che si riscontra nella distribuzione dei redditi. In questo contesto, com’è evidente a tutti, un sistema fiscale fortemente concentrato sulla tassazione dei redditi rischia di essere profondamente ingiusto.

E il nostro sistema fiscale è fortemente concentrato proprio sulla tassazione dei redditi rispetto ai patrimoni. Ma poiché i redditi non sono tutti rilevabili con la stessa certezza, il nostro sistema – evitiamo di ripetere qui cose ben note a tutti – risulta sostanzialmente fondato sulla tassazione dei redditi da lavoro dipendente. Certo, anche l’imposizione indiretta, quella che grava sui consumi, è altrettanto certa e pesa su tutti i consumatori, ma se si considera che coloro che hanno redditi più bassi li consumano quasi per intero, mentre coloro che hanno redditi alti ne consumano solo una parte decrescente in funzione del reddito, è evidente che le imposte indirette sono inversamente proporzionali, gravano cioè in percentuale più sui redditi bassi che su quelli alti, proprio il contrario di quel che recita la nostra Costituzione quando afferma che “il sistema tributario è informato a criteri di progressività” e che “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”. Il prelievo fiscale italiano è per un terzo fatto di contributi sociali che gravano sul lavoro e soprattutto su quello dipendente, per un altro terzo di imposte indirette e solo per il restante terzo di imposte dirette che gravano prevalentemente sui redditi da lavoro. Per questo un prelievo fiscale basato anche sui patrimoni posseduti appare necessario e utile anche per riequilibrare il peso sui diversi strati sociali. D’altra parte, negli altri paesi forme di imposizione sui patrimoni sono, come si vede nel riquadro a pagina 3, abbastanza diffuse: esistono in Francia, Svizzera, Norvegia, Spagna, si pensa di introdurle in Germania, Gran Bretagna, mentre in Usa i patrimoni vengono tassati indirettamente e pesantemente al momento della successione.

Tassare i patrimoni riequilibrare il fisco.

Se questo è lo scenario, e se la situazione italiana è quella che emerge dai dati della Banca d’Italia prima citati, il tema della tassazione dei patrimoni non dovrebbe essere assente dalla campagna elettorale. Naturalmente, non sarà facile, perché qualunque proposta potrebbe essere strumentalizzata dai fautori del “meno tasse” – tra ai quali, negli ultimi giorni, sembra vada annoverato persino l’austero Monti – e trasformata in una mannaia che pende sulla testa dei soliti che pagano: la risposta non può essere il non parlarne, ma il presentarla correttamente all’interno di un quadro organico di risistemazione del prelievo fiscale.

Per porla correttamente, può essere utile fissare alcuni paletti: il problema italiano non è quello di introdurre una nuova tassa che si aggiunga a quelle già esistenti, ma di riequilibrare il prelievo sui contribuenti; • poiché il prelievo fiscale oggi grava prevalentemente sui redditi dichiarati, si tratta di far entrare nella base imponibile anche i patrimoni e di perseguire con più rigore l’evasione fiscale; • poiché una tassazione sui patrimoni oggi esiste, ma non è progressiva, si tratta di renderla tale; • si tratta quindi di ridisegnare la struttura del prelievo fiscale con criteri logici e rispondenti ai principi costituzionali, che non possono essere ogni anno rimessi in discussione in funzione delle emergenze di bilancio; • le emergenze possono essere anche affrontate con una “tassa straordinaria sui grandi patrimoni”, ma questo non ha niente a che fare con la “tassazione ordinaria dei patrimoni”, che dovrebbe far parte del sistema fiscale italiano; • esistono differenze non trascurabili tra il fisco italiano e quello degli altri paesi europei: l’entità dell’evasione, il peso eccessivo dell’Irpef rispetto al gettito delle altre imposte, soprattutto sui redditi da lavoro, la ridotta tassazione dei redditi da capitale e la quasi inesistenza di una vera tassa patrimoniale progressiva.

In Italia non esiste un’imposta generale che colpisca a intervalli regolari il valore del patrimonio netto complessivo di famiglie e imprese, esiste invece – dal 1993 – un’imposta patrimoniale speciale, su un singolo cespite patrimoniale, che è l’Imposta comunale sugli immobili (Ici), diventata nel 2012 Imu. Una corretta tassazione dei patrimoni dovrebbe, per questo, configurarsi come un’imposta sulla ricchezza con un carattere fortemente progressivo. Ciò significa che essa non dovrebbe incentrarsi solo sulla distinzione tra prima casa e altre, ma essenzialmente sul valore del patrimonio posseduto e sulla relazione con il reddito. Una famiglia può possedere una prima casa vecchia e fatiscente e una seconda casetta in campagna per coltivare l’orto, ma questo non significa che stia meglio di un’altra famiglia che possiede solo la prima casa, ma di lusso. Escludere dunque l’abitazione principale può essere giusto, ma solo per famiglie e persone al di sotto di un certo livello di reddito. Quello che serve è, a questo riguardo, un sistema ad aliquote crescenti al crescere del valore complessivo dei patrimoni posseduti. Un’imposta di questo tipo, naturalmente, non può prescindere da una revisione-aggiornamento dei valori catastali, perché i valori catastali sottostimati o rivalutati con un moltiplicatore, come si è fatto con l’Imu, sono profondamente ingiusti e favoriscono le abitazioni di maggior valore, in quanto la distanza tra valori catastali e valori di mercato cresce al crescere di questi ultimi.

L’attuale strutturazione dell’imposta
, in sostanza, viola il criterio dell’equità, perché il peso dell’imposta sull’imponibile diminuisce all’aumentare del valore reale del patrimonio immobiliare, rendendo di fatto l’Imu un prelievo regressivo. Ma non si dovrebbe trattare solo dei valori costituiti dal patrimonio immobiliare, ma anche dal patrimonio mobiliare fatto di investimenti finanziari, che costituiscono più di un terzo dell’insieme dei patrimoni. Una precisazione. Le proposte da me avanzate non hanno niente a che vedere con l’idea di una tassazione straordinaria dei patrimoni, di cui spesso si è parlato, per abbattere drasticamente il debito pubblico. Nel dibattito in corso sul tema, invece, si è inserita di recente l’idea di Marco Revelli di un’imposta straordinaria da lasciare solo per un paio di anni, al fine di stabilizzare il rapporto debito-Pil, per permettere una minore spesa per interessi passivi e avviare un percorso virtuoso di riduzione dello stock di debito. Mentre un’altra proposta, pubblicata sul sito di Sbilanciamoci, riguarda la tassazione dei patrimoni mobiliari e solo per alcuni anni per finanziare un piano del lavoro.

L’Italia ha qualche ragione in più
Prima di concludere, non si può prescindere da una domanda. È opportuno e possibile parlare di tassazione dei patrimoni sotto elezioni? In Italia, per la dose di demagogia che spesso la caratterizza, è certamente rischioso, ma non si dovrebbe dimenticare che in Francia Hollande ha vinto proponendo una tassazione dei redditi molto alti al 75 per cento e negli Usa Obama sta conducendo una dura battaglia per tassare di più i più ricchi. Il problema, quindi, non è di non parlare di fisco per paura di perdere voti, ma di chiarire che le tassazioni che si propongono non sono aggiuntive rispetto a quelle esistenti, ma riconfigurano un nuovo sistema di tassazione, rendendolo più progressivo: esse dovrebbero gravare di più sui ceti più ricchi e consentire di alleggerire la pressione fiscale sui ceti popolari e medi.

Insomma: una patrimoniale per la redistribuzione. D’altra parte, non dovremmo dimenticare che l’Italia ha alcune ragioni in più per tassare i patrimoni rispetto ad altri paesi: perché il rapporto patrimonio-reddito è tra i più elevati al mondo, perché ha un debito pubblico tra i più alti, che richiederebbe un’entrata straordinaria per abbatterlo, ha qualche ragione in più perché ha una disoccupazione reale più elevata e disuguaglianze scandalose, perché sta subendo un processo di deindustrializzazione che richiede un forte intervento pubblico. Allora, prendere in considerazione il valore dei patrimoni posseduti per correggere una tassazione che grava prevalentemente sui redditi certi dei lavoratori dipendenti, che consente ancora elevati livelli di evasione, significa solo fotografare correttamente le capacità che le famiglie hanno di contribuire a finanziare la spesa sociale, fatte sia di redditi che si percepiscono, sia di consumi che si effettuano, ma anche di patrimoni immobiliari e mobiliari che si posseggono. Su tutti questi pilastri, nessuno escluso, dovrebbe fondarsi un sistema fiscale moderno, che voglia essere funzionale alle esigenze di redistribuzione eaunapiùequa ripartizione del reddito, che voglia garantire i servizi e consentire allo Stato di intervenire a sostegno dello sviluppo e del lavoro.