“Bruno aveva 53 anni, una moglie e due figli. È morto in una voragine che si aperta a Napoli nel 1999, a causa di mancate bonifiche nell’area di un cantiere. Ed era mio padre”. Nando Misuraca è un cantautore, giornalista e produttore discografico, ma è anche il figlio di una vittima del lavoro. Un figlio che dopo 20 anni ha deciso di “fare outing”, come lo definisce lui stesso.

L'artista napoletano ha quindi scelto di raccontare la sua storia e la storia della sua famiglia, “una storia uguale a quella di migliaia di altre persone, 150 ogni anno purtroppo”. E lo ha fatto con una canzone dal titolo “Anime bianche” e un videoclip diretto da Claudio D’Avascio, realizzato dall’etichetta indipendente Suono Libero Music con il contributo della Fillea Cgil. Il pezzo e il video sono stati presentati in anteprima durante il congresso del sindacato regionale della Campania, e riproposti durante l’assise nazionale in corso a Napoli.

“Per tirare fuori una vicenda così intima e tanto penosa ho affrontato un percorso lungo e complicato – racconta Misuraca –. Perché essere figlio di caduti sul lavoro in Italia non è facile. In un certo senso, in tutto questo tempo, l'unica assistenza che è arrivata alla mia famiglia è stata quella della pietà. E siccome mio padre era un persona molto dignitosa, non ho voluto rendere pubblica la mia vicenda mentre era ancora in corso il processo”.

Anche il processo, in effetti, è stato lungo e travagliato. Si è concluso con le condanne di Vincenzo Migliore, titolare della ditta Leime di Casoria per la quale il geometra Bruno Misuraca lavorava, di Luigi Russo, direttore dei lavori del cantiere in cui è morto, e di Paolo Sansone, amministratore del condominio nel quale si è aperta la voragine nella quale è precipitato. “Per tutti e tre c'è stata una condanna a un anno e mezzo di reclusione e una provvisionale di 100 mila euro. Ma che nessuno dei tre ha mai pagato, perché sono risultati nullatenenti o inadempienti”. È proprio in questo aspetto, per Misuraca, che lo Stato è più assente: “Le istituzioni fanno pochissimo per le famiglie dei caduti sul lavoro, che spesso vengono considerati solo morti di serie B rispetto alle vittime di tragedie più tutelate, come per la mafia”.

“Anime bianche” e il suo videoclip, girato per buona parte in un cantiere, raccontano tutto questo, ma anche e soprattutto la storia privata di una famiglia distrutta da un evento tragico. L'obiettivo è mostrare che Bruno, così come tutte le altre vittime del lavoro, non era un semplice numero: “I caduti sul lavoro sono persone in carne e ossa, dietro le quali ci sono delle famiglie come la mia. Persone che vanno tutelate, in un paese che ha moltissime leggi per la sicurezza sul lavoro, ma che troppo spesso non le applica”.

Bruno Misuraca, però, non è solo una vittima, ma anche un “eroe inconsapevole”, perché grazie al suo sacrificio ha salvato la vita delle 30 famiglie che abitavano nello stabile in cui si è aperta la voragine che lo ha inghiottito. Solo dopo quell'incidente mortale, infatti, il cantiere è stato messo in sicurezza. E proprio “Eroi inconsapevoli” è il titolo del disco del figlio Nando, in uscita a febbraio. Nel progetto, accanto ad “Anime bianche”, troveranno spazio molte altre storie a sfondo sociale. Come quella di Giancarlo Siani, il giornalista precario ucciso dalla Camorra nel 1985, o quella di Pietro Bartolo, il medico che dal 1992 è responsabile delle prime visite a tutti i migranti che sbarcano a Lampedusa. “Storie viste attraverso gli occhi di persone magari incoscienti del loro valore – racconta ancora Misuraca –, ma che hanno tracciato una strada. Perché oltre alle tragedie che hanno vissuto ci mostrano una passione fuori dal comune, che regala a tutti una speranza in più”.

Il sindacato ha accolto con grande favore il progetto “Anime Bianche”. “Quando sono entrato in Fillea la prima volta mi sono sentito a casa – conclude Misuraca –. Sono stato accolto a braccia aperte, come in famiglia. Co-producendo il videoclip mi hanno aiutato moltissimo a diffondere il messaggio di sensibilizzazione che voglio lanciare. Tanto che moltissime persone che hanno vissuto un'esperienza simile alla mia mi stanno contattando per condividere le loro storie con me. Per me è una soddisfazione, ma è soprattutto un punto di partenza”.