Ma quale luce in fondo al tunnel, presidente Monti? Qui, in Umbria, nel cuore dell’Italia mediana, di luce non se ne vede affatto, mentre si scorgono solo tante nubi all’orizzonte e un continuo susseguirsi di crisi aziendali, vertenze, ricorsi alla cassa integrazione o, peggio ancora, ai licenziamenti.

Dalla fascia appenninica fino a Narni, dal Trasimeno all’Alto Tevere, passando per Orvieto, Foligno, Spoleto e, naturalmente, Terni e Perugia è difficile trovare un angolo di questa regione in cui non ci siano posti di lavoro che saltano, aziende che chiudono, lavoratrici e lavoratori in grande difficoltà. Gli ultimi dati di Bankitalia ci dicono che la recessione nel “cuore verde d’Italia” è ancora più pesante di quella, già drammatica, a livello nazionale (-7,6 per cento di Pil dall’inizio della crisi).

Una performance particolarmente negativa,
che secondo la banca centrale è dovuta al concatenarsi di due fattori concomitanti: un apparato produttivo caratterizzato da una forte presenza di beni intermedi (maggiormente soggetti all’andamento delle congiunture economiche) e una minore capacità di esportazione delle imprese umbre, che impedisce di agganciare eventuali fattori di ripresa mondiale. E in effetti la quota di imprese regionali indirizzate all’export è minima: tra le quarantatré regioni d’Europa che hanno dimensioni e connotati simili, l’Umbria ha una propensione all’export tra le più basse.

I numeri del tracollo: è allarme povertà

Scorrendo le diverse analisi che periodicamente vengono prodotte da vari soggetti e istituti, si apprende che solo nell’edilizia dall’inizio della crisi si sono persi in Umbria qualcosa come 10 mila posti di lavoro e altri 12 mila circa negli altri settori. Eppure nulla o quasi si sta muovendo. Il governo continua ad andare dritto per la sua strada, quella del rigore a tutti i costi, senza accorgersi del disastro che incombe. E nella totale assenza di una politica industriale che sia in grado di far ripartire l’economia, i continui tagli agli enti locali non fanno altro che aggravare il quadro.

Sul versante delle imprese, l’Umbria nel primo trimestre 2012 registra il record nel tasso di fallimenti (insolvency ratio, ossia il numero di procedure di fallimento aperte ogni 10 mila imprese attive). Secondo i dati del Cerved Group nella regione questo indice è di 9,2 punti (oltre nove procedure fallimentari aperte ogni 10 mila imprese), rispetto a una media nazionale di 5,5.

Passando dalla parte dei lavoratori si sbatte subito contro la cifra record di 37 mila disoccupati, con un tasso di disoccupazione che cresce dal 6,5 per cento del secondo trimestre 2011 al 9,1 dello stesso periodo di quest’anno. Un dato che, ovviamente, non tiene poi conto dell’altissimo numero di lavoratori cassintegrati (circa 30 mila mediamente coinvolti, secondo l’Osservatorio nazionale della Cgil, di cui 15 mila a zero ore).

Non a caso, tra il 2010 e il 2011 l’Umbria fa registrare l’aumento maggiore di poveri in termini relativi di tutta Italia, passati dal 4,9 ad addirittura l’8,9 per cento della popolazione. Con questo balzo, come ha rilevato l’Istat nel suo rapporto annuale sulla povertà, l’Umbria fa un passo molto consistente verso il meridione, diventando la regione più povera d’Italia dal Lazio in su.

La piattaforma d’autunno della Cgil Umbria
Che la situazione sia davvero critica è chiaro da tempo alla Cgil regionale. Il primo sindacato umbro (circa 120 mila iscritti) ha più volte richiamato la necessità di un netto cambio di direzione, prima di tutto nelle politiche nazionali, ma anche una maggiore presa di coscienza della gravità della situazione a livello locale, a partire dalle associazioni di impresa, che ad oggi, secondo il sindacato, si limitano a un mero “ruolo notarile” nelle tante crisi e vertenze aperte. La Cgil mette in guardia soprattutto sotto due diversi punti di vista: quello del rischio azzeramento dell’apparato manifatturiero della regione (Merloni, polo chimico, Faber, Trafomec, Ims, Wonderful, solo per citare i pezzi più importanti che rischiano di saltare) e quello delle risorse necessarie a consentire la prosecuzione della cassa per il 2012-2013, anche tenendo conto degli effetti restrittivi della riforma Fornero.

Anche in Umbria serve un Piano per il lavoro
A fronte di questa situazione il sindacato umbro avanza le sue proposte e lo fa presentando una “piattaforma d’autunno” con la quale torna a chiedere con forza l’attuazione, anche a livello locale, di un Piano per il lavoro in grado di invertire la tendenza e bloccare lo stillicidio di posti di lavoro. La priorità assoluta è quella di “evitare i licenziamenti”, dice la Cgil, e per questo è fondamentale attivare subito tavoli con le associazioni di imprese per mettere in atto tutti gli sforzi necessari a salvaguardare l’occupazione nel settore privato.

Sul versante del lavoro pubblico, invece, l’obiettivo per la Cgil deve essere quello di difendere e ammodernare il sistema del welfare regionale. “Il modello sociale umbro – si legge nella piattaforma del sindacato – presenta tratti avanzati e di integrazione che vanno estesi e non ridotti; in questo senso il taglio pesante operato dal governo nazionale nei confronti delle Regioni, senza tener conto delle specificità e dei percorsi virtuosi intrapresi, rischia di essere un colpo per la regione che incide sulle basi strutturali del nostro sistema”. Nello specifico, sottolinea il sindacato, sul fronte del welfare siamo di fronte in pratica all’azzeramento del fondo sociale nazionale, con il conseguente ridimensionamento di quello regionale; mentre per la sanità il taglio complessivo per l’Umbria ammonta a circa 160 milioni, “una cifra enorme – dice la Cgil – che rischia di incrinare in maniera rilevante la funzione universalistica dell’Ssr umbro”.

La contrattazione di secondo livello, strumento per contrastare la crisi
Si è detto dell’accusa mossa dal sindacato alle associazioni di impresa della regione, troppo passive e votate a un atteggiamento esclusivamente “notarile” nelle tante vertenze aperte. Nella sua piattaforma la Cgil chiede una netta inversione di tendenza alla Confindustria e alle altre associazioni, prima di tutto favorendo lo sviluppo della contrattazione di secondo livello nella gran parte delle attività produttive della regione. Oltre a questo, la Cgil indica come prioritaria l’apertura di un confronto su quattro tematiche: il ruolo dell’industria e del manifatturiero per una nuova qualità dello sviluppo; la difesa e l’innovazione del modello di coesione sociale; i servizi pubblici locali; il sistema di istruzione-formazione-lavoro.

Le riforme istituzionali: costruire un nuovo regionalismo
I continui tagli dei trasferimenti dallo Stato centrale alle Regioni e agli enti locali “pesano come un macigno sulla possibilità della regione di mantenere un sostanziale equilibrio nelle risorse”. È questa consapevolezza che spinge la Cgil a dedicare nella sua piattaforma ampio spazio alla questione delle riforme, sia quelle già prodotte, come quella delle comunità montane, varata “con un accordo positivo che ha valorizzato il lavoro di quella esperienza e gli stessi lavoratori”, o delle Unioni dei Comuni, sia quelle in itinere, come la riforma sanitaria, quella del sistema idrico e del piano rifiuti.

Un capitolo a parte poi è riservato alla questione delle Province. In Umbria infatti il decreto “Salva Italia” del governo Monti determina la cancellazione della Provincia di Terni e configura un nuovo assetto in cui la Regione e l’unica Provincia rimanente, quella di Perugia, coincidono perfettamente. Una situazione che la Cgil locale ritiene inaccettabile, fatto per cui risulta “indispensabile andare a un riequilibrio territoriale dei due ambiti provinciali”. “Dobbiamo sentirci impegnati – scrive la Cgil – a costruire un percorso di riforme necessario per ridefinire i confini dell’Umbria, per un protagonismo dei municipi, delle città, dei territori per un vero reale processo di integrazione.

La nostra regione in una visione più ampia dell’Italia mediana non può sottrarsi a una riflessione sulle modalità con cui si rende necessario arrivare alla rimodulazione delle due province”.