(Labitalia) - In Umbria, nel 2012, le pratiche di assunzione effettuate in apprendistato sono state 5.491; costituiscono appena il 3,8% del totale degli ingressi nel mondo del lavoro, toccando i minimi storici (erano il 10,4% nel 2000); il canale contrattuale maggiormente utilizzato è il tempo determinato che raccoglie il 53% delle assunzioni, mentre i nuovi contratti a tempo indeterminato rappresentano il 9,6%. E' uno dei risultati del rapporto realizzato, per conto della Regione Umbria, dall'Agenzia Umbria Ricerche, nell'ambito dell'Azione di sistema a supporto e accompagnamento del funzionamento della legge regionale sull'apprendistato (legge regionale n.18/2007).

Il rapporto è stato illustrato ieri, nel corso di un incontro a Palazzo Donini, coordinato dal presidente dell'Agenzia Umbria Ricerche, Claudio Carnieri, e introdotto dal direttore di Aur, Anna Ascani; all'iniziativa è intervenuto il coordinatore dell'area Imprese e Lavoro della Regione Umbria, Luigi Rossetti. Nel corso dell'incontro, sono state presentate anche le esperienze di utilizzo dell'apprendistato in alcune aziende umbre. Il rapporto è stato realizzato da un gruppo di lavoro coordinato da Mauro Casavecchia e composto dall’esperto Franco Fogliano e dai ricercatori Enza Galluzzo, Daniele Adanti e Nadia Giuliano.

Una crisi "serissima - si rileva nel rapporto - in cui la reazione delle imprese, specialmente delle più piccole, è stata nei primi mesi del 2013 prevalentemente quella di non procedere a nuove assunzioni". L'obiettivo di potenziare l'apprendistato per farlo diventare il canale privilegiato di ingresso dei giovani nel lavoro, si sottolinea, "è ancora lungi dall'essere realizzato, probabilmente non solo a causa della perdurante crisi economica". Tra le criticità, ha rilevato Mauro Casavecchia, responsabile dell'Area Innovazione e sviluppo locale di Aur, "il blocco del meccanismo della fluidità nel passaggio dalla scuola al lavoro". "Lo snodo tra istruzione e occupazione - ha spiegato - rappresenta uno dei punti deboli del modello di sviluppo italiano. Quanto all'Umbria, un giovane su tre ha un contratto non stabile e solo uno su cinque ha un lavoro ad alta qualificazione, cui si collega un sottoutilizzo delle competenze nel sistema produttivo regionale".

Analizzando le dimensioni dell'apprendistato in Umbria, è l'apprendistato professionalizzante o di mestiere la tipologia privilegiata, con oltre il 90% dei contratti stipulati nel 2012. Sostanzialmente, è un canale di accesso dei 'meno giovani': la prevalenza per età è nella classe che va dai 20 ai 24 anni che raccoglie la metà dei lavoratori; l'altro 50% è ripartito tra le due classi estreme dell'età consentita, con i giovanissimi (con meno di 20 anni) che rappresentano però solamente il 14,7%, mentre quelli tra 25 e 29 anni sono il 35%. Nelle classi più giovani prevalgono i maschi, in quelle più elevate le apprendiste che presentano, inoltre, livelli di istruzione più alti.

L'apprendistato risulta un canale rivolto sia ai mestieri sia alle attività professionalizzanti. Dalla distribuzione delle qualifiche di assunzione, sempre nel 2012, emerge una concentrazione di apprendisti tra le professioni qualificate relative alle attività commerciali e dei servizi (44%). Seguono artigiani, operai e agricoltori, che riguardano quasi un quarto degli ingressi, e gli impiegati con una percentuale del 14%. Residuali sono le professioni non qualificate o, all'opposto, le professioni intellettuali o scientifiche, in coerenza con la distribuzione dei livelli di istruzione.

Quanto ai settori di appartenenza, al 2012 quasi la metà dei nuovi ingressi è concentrata nel trasporto e magazzinaggio (24,3%) e nelle costruzioni (20,4%); seguono le forniture di acque, reti fognarie e attività di gestione rifiuti e risanamento (12,5%). Una certa concentrazione si ha anche nelle attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento (5,5%), nella metallurgia (5,8%) e nelle industrie alimentari (4,1%). I contratti attivati nel 2012 hanno previsto all'atto dell'assunzione una durata sostanzialmente o inferiore all'anno (quasi un quarto) o superiore ai due anni (complessivamente oltre due terzi). Risultano in calo le conversioni dal contratto di apprendistato a quello a tempo indeterminato, che nel 2012 sono state circa duemila.

Il rapporto esplora attraverso alcune interviste anche il punto di vista delle agenzie formative, che confermano difficoltà nell'organizzare e gestire la formazione, e di un gruppo di lavoratori destinatari della formazione in apprendistato allo scopo di riflettere su opinioni e giudizi che hanno voluto evidenziare. I corsisti (169 quelli che hanno risposto) esprimono un giudizio sostanzialmente positivo sulla formazione ricevuta e sulla competenza dei docenti; gli argomenti ritenuti più interessanti sono quelli legati alla sicurezza e alla pratica professionale.

L'82% degli intervistati nel momento in cui è stato contattato era ancora occupato: il 47% a tempo indeterminato e il 37% ancora in apprendistato. Dati che sembrano essere 'incoraggianti' riguardo alle prospettive che questa tipologia di contratto può dare oggi a un giovane che si affaccia sul mondo del lavoro. Il 5% degli intervistati ha aperto una propria attività o una partita Iva. Si rileva anche una certa continuità tra l'apprendista e l'azienda in cui ha iniziato l'apprendistato: il 62% degli intervistati vi continua a lavorare.

Nel trarre le conclusioni e indicare nuove piste di ricerca, il rapporto mette in luce come il contratto di apprendistato sia "non competitivo, difficile da gestire, soggetto a continui adattamenti normativi che non riescono a definirne una natura specifica: non più un contratto a causa mista per quanto riguarda il professionalizzante che, dopo la riforma del 2011, vede ridursi a un terzo l’impegno formativo; non ancora un contratto di inserimento per i giovani perché non adeguatamente flessibile; non ancora un contratto per i più giovani, a partire dal quindicesimo anno di età, perché rimesso tutto all'iniziativa delle Regioni che incontrano numerose difficoltà a realizzarlo". Per contribuire a promuovere la formazione in apprendistato, si evidenzia tra l'altro il canale della mobilità territoriale per l'acquisizione di nuove competenze sia linguistiche che tecnico-professionali dal confronto con esperienze di lavoro all’estero.