Il 22-25 maggio si vota per il rinnovo del Parlamento europeo. È una scadenza importante, che determinerà le scelte future dell’Ue. Ma cosa succederà se dovessero avere una forte affermazione i movimenti populisti, xenofobi e antieuropei, presenti in molti paesi? A questa e ad altre domande risponde Fausto Durante, responsabile Segretariato Europa della Cgil nazionale.

“La scadenza elettorale – dice il dirigente sindacale – arriva alla fine di un periodo in cui la Commissione Ue ha concentrato la sua attività al rispetto rigido e ortodosso dei capisaldi del neoliberismo, provocando tensioni sociali molto forti, che sono alla base della sfiducia e dell’appannamento dell’idea di Europa di molti cittadini europei. Il rischio concreto è che forze politiche di chiara ispirazione antieuropeista, ostili alla moneta unica, che vagheggiano un ritorno a piccole patrie e a monete nazionali, movimenti di stampo neoautoritario, in qualche caso di chiara ispirazione fascista, penso a Jobbik in Ungheria e Alba Dorata in Grecia, partiti che hanno nel loro programma un chiaro segno antisemita o razzista, come il Front National di Marine Le Pen e la Lega Nord italiana, coalizzandosi e magari costituendo un unico gruppo a Strasburgo, acquisiscano un numero di seggi in grado di conferire loro molto potere, che si potrebbe trasformare in un vero e proprio diritto di veto su tutto il processo legislativo del Parlamento. Perciò, il primo nemico da combattere è l’astensionismo, con una campagna di sensibilizzazione alla partecipazione al voto. E poi le forze democratiche e popolari valorizzino liste e candidati per ridurre tali rischi al minimo.

Rassegna Il 4 aprile si è tenuta a Bruxelles una manifestazione organizzata dalla Ces, che ha visto la partecipazione di migliaia di lavoratori provenienti da tutta Europa per chiedere posti di lavoro e sviluppo. Ma gli stessi sindacati faticano a interagire e a rinunciare alle loro prerogative nazionali. Quali passi sono necessari per arrivare a un maggior coordinamento sindacale europeo?

Durante Se vogliamo essere efficaci, dobbiamo costruire uno spazio europeo della contrattazione e un sindacato europeo in grado di occupare tale spazio. Oggi le prerogative di natura contrattuale sono esclusivamente nelle mani dei sindacati nazionali, mentre il cuore delle decisioni su industria, servizi, lavoro pubblico, stato sociale, welfare, vengono prese a Bruxelles, senza che vi sia una reale interazione e capacità di incidere da parte del sindacato.

Rassegna Primo problema, dunque, costruire una Ces efficace, che superi il mero livello di coordinamento e rappresentanza ricoperto finora?

Durante Sì, e qui c’è bisogno di uno sforzo di generosità da parte dei sindacati nazionali per cedere quote di sovranità contrattuale alla Ces, per contrastare la perdita di ruolo, funzione ed efficacia del sindacato. La manifestazione del 4 aprile è stata fondamentale, perchè ha rilanciato il sindacato Ue e i principi di solidarietà e condivisione degli sforzi per uscire dalla crisi. Se la Ces non sarà in grado di modificare le politiche imperanti nell’Unione, i sindacati saranno condannati al ruolo di semplici gestori delle conseguenze sociali di decisioni prese altrove, venendo meno al principio del sindacato, quello di intervenire e condizionare processi e scelte di imprese e governi.

Rassegna La Cgil con il ‘Piano del Lavoro’, la Dgb con il ‘Nuovo Piano Marshall per l’Europa’, i sindacati spagnoli Ccoo e Ugt con le loro proposte, per arrivare al ‘Piano straordinario europeo di investimenti per la crescita e la creazione di nuovo lavoro stabile’ della Ces, possono contribuire alla revisione delle scelte fin qui compiute dall’Ue?

Durante Il piano Ces è il punto d’arrivo di un percorso avviato dalla Cgil con la presentazione del Piano del Lavoro, proseguito con quello della Dgb, dei sindacati spagnoli e della Lo danese. È basilare, perché oltre a ribaltare il paradigma ideologico, culturale e politico del neoliberismo, indica una strada diversa da austerità, rigore e ossessione per la disciplina di bilancio. La nuova via, sulla falsariga di ciò che ha fatto Obama con il suo vero Jobs act, è quella degli investimenti pubblici per rilanciare la domanda interna e rimettere in moto l’economia: si parla di 250 miliardi l’anno per 10 anni, che potrebbero creare 11 milioni di posti di lavoro in Europa, dando una prima risposta al problema gravissimo della disoccupazione, soprattutto giovanile e femminile, nel contempo rilanciando l’apparato produttivo e industriale, che ha bisogno di una riconversione ecologicamente e socialmente sostenibile.

Rassegna Come si finanzia il piano Ces?

Durante Con le risorse dei bilanci dei paesi in attivo, con la destinazione di parte dei fondi Ue che non vengono utilizzati dagli stati nazionali, con il superamento del vincolo del Patto di stabilità per gli investimenti produttivi, e soprattutto attraverso una tassa patrimoniale sulle grandi ricchezze e sulle rendite parassitarie non utilizzate a fini produttivi. Poi si introduce la tassa sulle transazioni finanziarie e l’ipotesi di una carbon tax, sulla base del principio ‘più inquino, più devo pagare’. Noi chiederemo a tutte le forze politiche che si candidano al Parlamento di Strasburgo di sostenere il piano Ces.

Rassegna Politiche liberiste e logiche di mercato hanno finora guidato le scelte di Bce e Commissione Ue, contribuendo alla catastrofe sociale che ha colpito in particolare i ‘Pigs’, i paesi del Sud d’Europa, Grecia in primis, accrescendo il divario con il Nord d’Europa.

Durante Le scelte fatte dimostrano concretamente il fallimento della logica neoliberista. Il primo caposaldo di quella strategia era: facciamo così per ridurre il debito degli stati in difficoltà, ma il debito, anziché diminuire, è aumentato in tutti i paesi Ue. Altro paradigma: facciamo così e crescerà l’occupazione, al contrario, in Europa la disoccupazione non è mai stata a livelli così alti. Terza dimostrazione del fallimento di quella teoria: facendo così il Pil aumenta, mentre oggi siamo tecnicamente in recessione in tutta l’Unione. È la dimostrazione pratica che bisogna cambiare radicalmente quelle politiche, altrimenti, oltre a non risolvere la crisi, aumenterà il divario tra Nord e Sud d’Europa, che fino a 10 anni fa tendeva a diminuire.

Rassegna Nella prima azione della Cgil, dedicata all’Europa, si sostiene le politiche di austerità e rigore attuate dall’Ue hanno provocato la recessione economica, peggiorando la condizione dei lavoratori, aumentando disoccupazione, diseguaglianze sociali e povertà. Ma il fiscal compact non è anche garanzia di buona gestione dei conti dello Stato a vantaggio delle future generazioni?

Durante Il fiscal compact, in realtà, è una specie di gabbia di ferro costruita attorno alle possibilità di ripresa – tanto che il ministro dell’Economia Padoan ha chiesto il rinvio di un anno per il pareggio di bilancio –, e costituisce quell’insieme di provvedimenti che hanno portato a conseguenze drammatiche: la dinamica dei salari è ferma in 18 stati su 28, e in alcuni casi il potere d’acquisto dei lavoratori è sceso; dappertutto, abbiamo la tendenza ad intervenire draconianamente sui dipendenti pubblici e ci sono attacchi terribili alle pensioni. Con la scusa di rimettere a posto i conti, molti governi europei stanno attuando una gigantesca operazione di ingiustizia sociale a danno del lavoro e della capacità produttiva, a solo vantaggio della finanza e delle grandi imprese.