Uber non è un’applicazione per smartphone, ma un vero e proprio fornitore di servizi di trasporto. Lo ha stabilito la Corte di giustizia dell'Ue. In base alla sentenza, gli stati membri dovranno regolamentare come tale il servizio di messa in contatto con conducenti non professionisti fornito dalla piattaforma online; quest'ultima deve essere esclusa dall'applicazione della libera prestazione dei servizi nonché delle direttive Ue sui servizi e sul commercio elettronico.

“Una decisione significativa, che premia l'impegno del sindacato europeo e della Cgil affinché in Europa vengano definiti diritti e tutele per i lavoratori delle piattaforme digitali”. Così Fausto Durante, responsabile delle politiche europee e internazionali della Cgil, commenta la sentenza della Corte di giustizia Ue. Per il dirigente sindacale “l'azienda deve agire nel quadro delle regole e delle condizioni che ciascuno degli Stati membri dell'Ue stabilisce per il settore dei trasporti. Tra i doveri, quindi, vi è anche quello di rispettare i diritti del lavoro”.

“Auspichiamo - prosegue Durante - che Uber, insieme ai sindacati dei Paesi in cui opera, definisca accordi per stabilire il giusto salario e le condizioni di lavoro dei suoi operatori”. “Inoltre - aggiunge - chiediamo che i principi del ‘Pilastro europeo dei diritti sociali’, approvato poco più di un mese fa nel vertice di Göteborg, siano incorporati nel quadro giuridico europeo, e che veda presto la luce la direttiva sui ‘Written Statement’ sulla forma scritta dei contratti di lavoro. Una direttiva che - conclude Durante - dovrà dare copertura e garanzie anche ai lavoratori delle piattaforme, ai parasubordinati e agli autonomi”.

La sentenza
Secondo i giudici di Lussemburgo, un servizio d'intermediazione come quello di Uber, che mette in contatto via app e dietro retribuzione conducenti non professionisti utilizzatori della propria auto con persone che desiderano effettuare uno spostamento, "deve essere considerato indissolubilmente legato a un servizio di trasporto e rientrante, pertanto, nella qualificazione di 'servizio nel settore dei trasporti'". Non si possono quindi applicare le norme che valgono per la libera prestazione dei servizi né per il commercio. E' quindi "compito degli stati membri disciplinare le condizioni di prestazione di siffatti servizi nel rispetto delle norme" Ue. La Corte dichiara, innanzitutto, che "il servizio fornito da Uber non è soltanto un servizio d'intermediazione", in quanto il fornitore "crea al contempo un'offerta di servizi di trasporto urbano". L'app di Uber, infatti, "è indispensabile sia per i conducenti sia per le persone che intendono effettuare uno spostamento", oltre al fatto che Uber esercita "un'influenza determinante sulle condizioni della prestazione dei conducenti". Lussemburgo conclude quindi che il servizio fornito da Uber "deve essere considerato parte integrante di un servizio complessivo in cui l'elemento principale è un servizio di trasporto" e non un servizio digitale. Di conseguenza non si applica in questo caso la direttiva Ue sul commercio elettronico e nemmeno la direttiva servizi nel mercato interno. Per lo stesso motivo Uber non rientra neppure nella libera prestazione dei servizi in generale, ma nella politica comune dei trasporti. E finora, ricorda la Corte, i servizi di trasporto non collettivi in area urbana cosi' come i servizi collegati quali Uber "non hanno portato all'adozione di norme comuni Ue sul fondamento di tale politica".