A preoccupare fortemente le popolazioni terremotate in questi primi giorni del 2017 sono stati soprattutto il gelo e la neve, acerrimi nemici di chi non ha più un tetto sotto cui dormire. Ma c’è un altro problema che, anche se in maniera meno evidente, rischia di complicare non poco la vita ai cittadini di Lazio, Umbria, Marche e Abruzzo che hanno subìto i danni più pesanti dalle scosse dell’estate e dell’autunno 2016. La cosiddetta “busta pesante”, la sospensione dei versamenti tributari e contributivi per i lavoratori dipendenti, potrebbe non arrivare per molti di quei cittadini che, teoricamente, dovrebbero invece averne pieno diritto.

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Il problema nasce da un passaggio della legge 229 del 15 dicembre 2016, che ha apportato alcune importanti modifiche al precedente decreto del 17 ottobre 2016. Tra queste – fortemente richiesta in primis dalle organizzazioni sindacali – c’era appunto la “busta pesante”, strumento che dovrebbe lasciare nelle tasche dei cittadini, per alcuni mesi del 2017, maggiori risorse, utili a far fronte alle spese che inevitabilmente la condizione di terremotati comporta, soprattutto nella fase dell’emergenza. Il fatto, però, è che la soluzione si sta rivelando essa stessa un problema. Il testo del comma incriminato (1-bis, articolo 48) recita infatti: “I sostituti d’imposta, ovunque fiscalmente domiciliati nei Comuni di cui agli allegati 1 e 2, a richiesta degli interessati, non devono operare le ritenute alla fonte a decorrere dal 1° gennaio 2017 e fino al 30 settembre 2017”.

Allora, dove sta il problema? Semplice, il problema sta nella domiciliazione fiscale dei sostituti d’imposta, ovvero dei soggetti che erogano la busta paga “pesante”. La legge specifica che questi devono essere fiscalmente domiciliati nei comuni del cratere, ma se un lavoratore con la casa distrutta ad Amatrice piuttosto che a Norcia lavora, per esempio, per un ministero (pensiamo agli insegnanti) o per la Regione, o per una ditta con sede fiscale a Milano, piuttosto che a Napoli, allora questo cittadino, a norma di legge, non potrà richiedere la “busta pesante”. Per dare meglio l’idea: il vigile urbano sì, il carabiniere no. E naturalmente resteranno fuori dal diritto anche tutte le pensionate e i pensionati, visto che l’Inps ha sede a Roma.

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Insomma, c’è un problema e nemmeno tanto piccolo. Ad accorgersene sono stati per primi i sindacati. In una lettera inviata ai parlamentari eletti in Umbria, oltre che alla presidente della Regione Catiuscia Marini, Giuliana Renelli, segretaria regionale della Cgil, e Rita Paggio, segretaria generale dello Spi umbro, invitano deputati e senatori “a intervenire per le loro competenze, in riferimento alle difficoltà interpretative determinate dal comma 1bis”, in quanto, scrivono le due segretarie, questo “genera disparità di trattamento, legando il diritto al domicilio fiscale del sostituto d’imposta e non del singolo lavoratore o pensionato”. “Questa condizione – si legge ancora nella lettera della Cgil Umbria ai parlamentari – produce l’effetto di vedere residenti in area cratere con danni abitativi significativi che non avranno possibilità di accedere alla busta pesante, perché dipendenti di aziende o enti fiscalmente domiciliati fuori dai comuni di cui agli allegati 1 e 2”.

Lo stesso problema è stato sollevato dal sindacato anche nelle Marche in una lettera inviata al commissario Vasco Errani, ai parlamentari marchigiani e alla giunta regionale per evidenziare una serie di richieste di intervento, tra le quali “la possibilità di sospensione delle ritenute alla fonte da parte di sostituti d’imposta domiciliati fuori dall’area sismica, se la sospensione (“busta paga pesante”) venga richiesta da cittadini residenti nei Comuni del cosiddetto cratere”.

Potrebbe sembrare una questione di lana caprina, ma oltre al fatto che poche parole sbagliate in un articolo di legge possono determinare conseguenze pesanti sulla pelle di migliaia di persone, c’è anche un “piccolissimo” problema di costituzionalità. Secondo Carlo Calvieri, docente di Diritto costituzionale all'Università degli studi di Perugia, sono addirittura tre gli articoli della Carta che vengono “menomati” dal comma incriminato: “L’articolo due – spiega Calvieri –, perché viene meno l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, che dovrebbe essere invece alla base del provvedimento. L’articolo 3, per ovvi motivi di asimmetria di diritti e agevolazioni nel trattamento di situazioni omogenee, e infine l’articolo 53, che chiama tutti, alla stessa maniera, a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Insomma – conclude il docente –, l’articolo in questione rischia di creare disparità di trattamento surreali ed è scritto quantomeno in maniera infelice”.