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“Vogliamo arrivare al più presto, con i sindacati, ad un accordo importante e costruttivo". E' questo il messaggio che ha voluto mandare oggi il vicepresidente di Confindustria con delega alle relazioni industriali, Stefano Dolcetta, che è intervenuto, dopo i tre segretari generali di Cgil, Cisl, Uil, Susanna Camusso, Anna Maria Furlan e Carmelo Barbagallo alla cerimonia per il trentennale della morte di Ezio Tarantelli, l'economista ucciso dalle Br il 27 marzo 1985, proprio nel parcheggio della facoltà di Economia e commercio della Sapienza, dove oggi si è svolto il dibattito.
Rievocare la figura di Tarantelli è stata quindi l'occasione per rifare il punto su un argomento che negli ultimi anni era diventato tabù: le relazioni industriali. E proprio sulla necessità di ristabilire un corretto metodo di relazioni tra governo, imprese e sindacati e sul piano della contrattazione diretta tra aziende e sindacato si è registrata oggi – pur con le diverse accentuazioni culturali e politiche – una sostanziale unanimità. Il modello di un governo che governa da solo, prescindendo dal rapporto con le parti sociali viene quindi bocciato sia dai professori (che oggi sono intervenuti in quanto padroni di casa) sia dai dirigenti sindacali e imprenditoriali. “L' autosufficienza della politica è una forma di orgoglio, non una modalità politica", ha detto il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso durante il suo intervento nell'aula magna di Economia. Si deve ripristinare quindi un nuovo modello di relazioni industriali e sindacali, ma non è ovviamente possibile ripetere i moduli del passato. "Il patto del '93 (la concertazione del governo Ciampi, che era stato il frutto anche delle proposte di Tarantelli) è morto", ha detto Susanna Camusso, e il motivo è molto semplice: "Nel frattempo ha vinto il liberismo, che non prevede politiche di redistribuzione ma l'aumento delle diseguaglianze".
Il modello che era stato centrale nel corso degli anni novanta è stato ucciso infatti in questi trent'anni che ci separano dall'omicidio Tarantelli, prima dal governo Berlusconi, per essere poi progressivamente accantonato dai governi Monti e Letta. E ora il tema risulta praticamente sospeso con il governo Renzi, il premier che rivendica il diritto a governare a prescindere (“ce ne faremo una ragione”). Si continua a preferire di far girare tutte le scelte di politica economica e fiscale intorno alla riduzione del salario, ha spiegato Camusso: si continuano a privilegiare le politiche della diseguaglianza a quelle della redistribuzione delle risorse che invece potrebbero avere una grande fonte dalla tassazione dei patrimoni. Ma così non si affrontano i problemi più urgenti di un paese dove ci sono 3,8 milioni di lavoratori nell'area dell'economia “non osservata”, 3 milioni di disoccupati, 3 milioni di lavoratori impiegati nel sistema grigio degli appalti, con un tasso di occupazione femminile molto al di sotto di quello degli altri paesi europei e una disoccupazione giovanile alle stelle. Per affrontare tutte queste cose, ha spiegato la leader della Cgil, ci vogliono risorse, investimenti pubblici e dialogo con le parti sociali. Non è possibile delegare tutto ancora una volta alle imprese. O delegare le scelte strategiche a un governo che continua a decidere da solo.
Ed è toccato quindi proprio ad un rappresentante del governo, il viceministro allo Sviluppo economico, Claudio De Vincenti (l'uomo che segue i tavoli delle tante crisi industriali aperte), rispondere alle sollecitazioni sulla necessità di ristabilire una qualche forma di concertazione. Rispetto al mondo di Tarantelli, ha detto De Vincenti, oggi però tutto è cambiato ed il problema principale è quello di includere tutti coloro che sono fuori dal sistema della contrattazione. In questo senso si pone il problema della centralità del rapporto con il sindacato che è il soggetto più adatto a interpretare questo bisogno di inclusione e coesione sociale.