E' ancora troppo presto per capire come si concluderà la vicenda dei tagli al fondo patronati. La minaccia di una consistente riduzione delle risorse destinate alla tutela previdenziale e socio-assistenziale gratuita, per ora, è solo in parte rientrata. Diverse le richieste di modifica espresse in Senato rispetto alla norma che taglia di 75 milioni di euro il fondo ministeriale, riduce del 20 per cento gli acconti finanziari sull’attività svolta, diminuisce l’aliquota contributiva destinata alla tutela individuale.

I circa 70 emendamenti proposti si concentrano prevalentemente a contenere la riduzione del fondo patronati attorno ai 40 milioni di euro. Una sforbiciata che, se paragonata ai 150 milioni originariamente previsti nella prima stesura della misura presentata dal governo alla Camera, rappresenta un buon risultato, ma non risolutivo, frutto comunque di una mobilitazione straordinaria dell’Inca e del Cepa, il Centro patronati cui fanno parte anche Acli, Inas, Inca e Ital, che fin dall’inizio si sono opposti con tenacia, facendo leva soprattutto sulla sensibilità espressa da oltre un milione di cittadini firmatari della petizione “No ai tagli ai patronati”. Stupisce che, accanto alla protesta del Cepa non si sia riscontrata un’analoga iniziativa da parte degli altri patronati, come se un problema così rilevante fosse risolvibile con le sole relazioni istituzionali, peraltro continuamente negate dal governo nel suo complesso e dal ministero del Lavoro nello specifico.

L’iniziativa di protesta, ancora oggi in corso con un presidio davanti al Senato, terminerà soltanto ad approvazione definitiva della legge di stabilità. L’attenzione sull’argomento resterà alta fino all’ultimo minuto utile per cambiare la norma, che mette in ginocchio il sistema dei patronati e infligge un duro colpo al principio stesso della gratuità della tutela previdenziale e socio-assistenziale, costituzionalmente sancita a favore di tutti i cittadini. Per l’Inca la stessa scelta contenuta nell’emendamento licenziato dalla Camera di prevedere una compartecipazione del cittadino alle spese per alcune tipologie di prestazioni, quasi a compensazione della riduzione delle risorse, è profondamente sbagliata, perché snatura il ruolo e la missione del patronato, nato per aiutare le persone economicamente e socialmente più deboli, e annulla il principio di parità di accesso ai diritti. Delle preoccupazioni espresse unitariamente, a più riprese, dai patronati, si è fatto portavoce anche il presidente del Senato Pietro Grasso, che in occasione della consegna delle firme raccolte in poco più di un mese, ha sottolineato come dietro ciascuna adesione ci sia una famiglia e dunque uno spettro molto più ampio della domanda di tutela espressa dai cittadini attraverso le richieste rivolte ai patronati.

La riduzione dei tagli è una risposta parziale che non risolve il problema alla radice, ma, anzi, crea un precedente pericoloso, per cui si introduce la possibilità di poter intervenire ancora in futuro sul fondo, che – essendo alimentato con una quota dei contributi previdenziali obbligatori versati da lavoratori dipendenti e imprese – non dovrebbe essere nelle disponibilità del bilancio pubblico. Cosa che invece accadrebbe, considerando il fatto che, mentre i lavoratori continuerebbero a versare integralmente i contributi previdenziali obbligatori all’Inps, la parte destinata alla tutela gratuita assicurata a tutti i cittadini dai patronati verrebbe incamerata dall’erario, né più né meno come una tassa occulta a carico di dipendenti e pensionati, avviando un pericoloso sviluppo del mercato delle consulenze private e onerose e rendendo aleatorio l’esercizio di qualsiasi diritto. Una prospettiva che si tradurrebbe, dunque, in un duplice danno, economico e sociale, che ricadrà non soltanto sul mondo del lavoro, ma anche sulla stessa pubblica amministrazione. E che ciò corrisponda al vero, lo dimostrano i numerosi attestati di sostegno e solidarietà alla mobilitazione di Acli, Inas, Inca e Ital, che gli stessi enti previdenziali (Inps e Inail) hanno espresso a tutti i livelli, nazionali e territoriali, preoccupati di non riuscire, senza l’aiuto di questi istituti, a garantire le prestazioni previdenziali e socio-assistenziali ai cittadini.

Il Civ dell’Inps, in occasione della presentazione del bilancio sociale, ha sottolineato come senza l’apporto dei patronati, l’istituto dovrebbe assumere diverse migliaia di persone, aprire oltre 6.000 uffici e spendere 564 milioni di euro in più. Analogamente si è espresso il Consiglio di indirizzo e vigilanza dell’Inail, l’ente che tutela le lavoratrici e i lavoratori contro gli infortuni e le malattie professionali, che ha sottolineato come, tra il 2013 e il 2014, i patronati hanno patrocinato 559.349 richieste di prestazioni economiche e sanitarie rivolte all’istituto, di cui 270.000 soltanto nell’anno in corso, svolgendo tra l’altro un’importante funzione di prevenzione del ricorso alla magistratura attraverso un’attività di assistenza agli utenti nelle procedure di ricorso amministrativo. In tale contesto, particolare rilievo assume l’attività delle “collegiali medico legali”, che consente di esaminare congiuntamente, in sede extragiudiziale, la sussistenza del diritto alle prestazioni e l’entità dei danni subiti dai lavoratori.

Nel 2013, sono state effettuate circa 25.000 visite collegiali medico legali. Senza il ricorso a tale strumento tutti questi casi si sarebbero tradotti in contenziosi giudiziari. Ma ci sono altri aspetti sui quali Acli, Inas, Inca e Ital esprimono perplessità. L’emendamento licenziato dalla Camera e approdato a Palazzo Madama, oltre alla riduzione del fondo, stabilisce l’esclusione dalla ripartizione delle risorse ministeriali di quei patronati che non raggiungessero una quota di attività pari al 2,5 per cento del totale. Se lo scopo di tale scelta è fare chiarezza nel mondo di questi istituti, sembra il modo meno adatto per raggiungere l’obiettivo. A tal proposito, l’Inca ha sempre sostenuto la necessità che si debba agire su parametri di qualità dei servizi offerti per operare la giusta selezione dei patronati. Un orientamento peraltro già emerso nella commissione del ministero del Lavoro, in cui il nostro istituto ha dato un contributo decisivo, e che si vorrebbe accolto anche in Senato.