La stampa in 3D è “pronta a rivoluzionare l’industria manifatturiera”. La tecnica “è oggi utilizzata per qualsiasi cosa: da componenti di aerei a protesi delle gambe e delle braccia. L’anno scorso, il volume d’affari della stampa in 3D ha totalizzato circa 777 milioni di dollari e potrebbe salire a oltre 8,4 miliardi entro il 2025, secondo uno studio di Lux Research”. È quanto scrive David Seligson su www.lavorodignitoso.org, il portale dell’Ufficio Ilo per l’Italia e San Marino.

“La stampa 3D – spiega Seligson – renderà più semplice e meno costoso produrre prodotti complessi. Questo sistema eliminerà la necessità di assemblare, ci sarà bisogno di meno materiali grezzi e accorcerà la catena di fornitura. Le aziende non avranno più bisogno di inventariare i prodotti, dal momento che potranno stamparli su richiesta”.

Ma cosa comporta tutto questo per il mondo del lavoro? “Le catene di montaggio o l’industria manifatturiera come la conosciamo oggi – si chiede Seligson -, esisteranno ancora fra 20 anni? Oggi, i beni di consumo elettronici, come i computer laptop, vengono prodotti in serie in giganti fabbriche con centinaia di migliaia di lavoratori. In futuro, potremmo stampare il nostro laptop su misura direttamente a casa. Secondo alcuni esperti tutto ciò avrà un impatto più profondo sul mondo del lavoro di quello avuto con la Rivoluzione industriale. Così come i personal computer hanno sfumato i confini tra giornalisti e i compositori tipografici, la stampa in 3D renderà più difficile distinguere i ruoli delle persone che lavorano nello sviluppo del prodotto, servizi al dettaglio e la produzione manifatturiera”.

“Si tratta di una delle principali questioni che organizzazioni come l’Ilo dovranno tenere a mente, dal momento che la rivoluzione della stampa in 3D si sta affermando sempre di più. Un’altra questione è come aiutare i lavoratori delle catene di montaggio a prepararsi per la transizione, anticipando il bisogno di competenze di cui avranno bisogno per affrontare il mondo della stampa in 3D. Per esempio, i lavoratori potrebbero aver bisogno di specializzarsi nell’imparare le diverse combinazioni di materiali grezzi che si possono utilizzare in una stampante, o sapere come guardare il cianotipo elettronico per individuare i difetti.

Così come avvenuto con la Rivoluzione industriale – conclude Seligson -, la stampa in 3D potrebbe distruggere posti di lavoro, ma anche crearne di nuovi. E poiché la stampa in 3D richiederà meno materiali grezzi e creerà meno sprechi, sarà probabilmente più green”.