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La nostra regione si trova in una condizione che non ha precedenti nella sua storia economica e sociale da decenni a questa parte. Nel paese è in atto una ripresa che, però, tocca solo molto marginalmente le Marche. La crisi degli ultimi anni ha penalizzato molto le Marche proprio per la forte connotazione manifatturiera. Ma questo non spiega come mai, ora che la ripresa in atto è proprio una ripresa industriale, il nostro apparato produttivo – tranne poche eccezioni – sia ancora troppo lento. Nelle altre realtà industriali la crescita è sostanziosa: la produzione industriale nei primi nove mesi è cresciuta del 5,3%, gli investimenti privati del 2,4% e il portafogli ordini specie in alcuni settori è tra i 18 e i 24 mesi. Perché allora questa ondata positiva si spegne sulla soglia della nostra regione? La crisi delle Marche è crisi di competitività e di produttività. La ragione di tutto ciò è da ravvisarsi nel fatto di aver ricercato l’incremento della produttività essenzialmente attraverso l’abbassamento del costo unitario del lavoro, stressando e precarizzando il lavoro stesso. Ma questa è una via sbagliata e di corto respiro.
Di recente, Mario Draghi ha sostenuto che in questo modo si è anche danneggiata la competitività complessiva perché, durante la crisi, si è cercata la scorciatoia dell’utilizzo del lavoro intermittente, occasionale, dell’abuso dei voucher invece dell’innovazione e della qualità dei prodotti, con il risultato di ridurre di fatto i salari, comprimendo così i consumi e producendo deflazione e stagnazione. Più di recente, anche il professor Travaglini dell’Università di Urbino, riflettendo sul controverso rapporto tra lavoro, innovazione e produttività, ha confermato come la flessibilità del lavoro possa disincentivare le imprese a investire e innovare, con conseguenze negative sulla crescita. L’andamento del mercato del lavoro marchigiano, confermato anche dagli ultimi dati dell’Inps, è lo specchio drammatico di questa analisi.
Per questo occorre spostare l’attenzione sulla produttività totale dei fattori, non solo sul costo del lavoro. Produttività totale dei fattori vuol dire suonare contemporaneamente tre tasti: il tasto della produttività da capitale, ovvero degli investimenti privati nel processo e nel prodotto; della produttività di sistema cioè del complesso di investimenti pubblici nelle reti di sostegno materiali ed immateriali dalla digitalizzazione, alla ricerca, alla formazione e, infine, la produttività da lavoro. Quest’ultima, da sola, non è in grado di risolvere alcunché se non di peggiorare pesantemente le condizioni di vita dei lavoratori e dei giovani della nostra regione.
Le Marche non riescono ad uscire dalla crisi perché sia gli investimenti pubblici nelle reti sia quelli industriali privati sono largamente insufficienti. Siamo in ritardo sulla banda digitale che impedisce alle imprese, specie delle zone interne, di competere utilizzando le nuove tecnologie. Le imprese, specie quelle più piccole, non intercettano la ricerca applicata e il trasferimento tecnologico. Per questo, le filiere dei distretti si sono scomposte e impoverite e il sistema delle imprese, nel suo complesso, ha preferito galleggiare rinviando piani industriali e progetti di investimento.
Questa, che ci piaccia o no, è purtroppo la realtà e da qui bisogna partire senza cercare alibi o scaricare le responsabilità. Siamo ben consapevoli che ciascuno è chiamato a fare la sua parte. Per parte nostra, siamo pronti. Pronti a una contrattazione aziendale dove al centro vi sia l’incremento della produttività, concordando l’organizzazione del lavoro e gli obiettivi produttivi, mettendo al centro la qualità del prodotto e del lavoro e legando ad essi gli aumenti salariali. Gli aumenti salariali veri e non solo una politica di benefit di varia natura a volte nemmeno concordati. Per farlo bisogna davvero investire in nuove relazioni industriali, non temere ma essere disposti a moltiplicare la contrattazione di secondo livello e quella territoriale, a investire nella professionalità e nella competenza dei lavoratori, stabilizzando e non precarizzando i posti di lavoro.
Daniela Barbaresi è segretaria generale della Cgil Marche