La trattativa era partita il 9 novembre del 2017, poi però non c’erano stati altri incontri. Finalmente, dopo le pressioni dei sindacati, è arrivato l’appuntamento del 2 gennaio per il rinnovo del contratto del comparto istruzione e ricerca, un altro pezzo importante del settore “pubblico” (che nei giorni scorsi ha registrato il rinnovo del ccnl dei ministeriali) e che interessa 1,1 milioni di dipendenti della scuola, 53.000 delle università, 24 mila degli enti di ricerca e 9.500 dell'Afam.

I sindacati sperano di chiudere il 4 gennaio, avendo come riferimento imprescindibile l’accordo del 30 novembre 2016 a Palazzo Vidoni e la rivendicazione degli 85 euro medi di aumento, insieme al pieno ripristino delle prerogative negoziali su organizzazione del lavoro e orari: prerogative, queste, sempre più messe in discussione negli ultimi anni da un serrato processo di rilegificazione che ha sottratto alle parti e alla scuola dell’autonomia molti spazi prima riservati alla contrattazione.

Le questioni cruciali cui deve far fronte il negoziato, si legge in una nota della Flc, “affinché si possa giungere al più presto alla chiusura della trattativa” sono il superamento della legge 107/2015, la cosiddetta "Buona Scuola", e della legge 150/2009, cioè la “famigerata” legge Brunetta, battaglia, quest’ultima, già vinta con il rinnovo dei ministeriali. I sindacati chiedono un deciso cambio di rotta rispetto alla “Buona Scuola”, a cominciare dalla riconduzione in ambito contrattuale di di tutte le risorse stanziate ma gestite in modo unilaterale dai presidi manager, altro mantra della riforma renziana della scuola: bonus, card docenti e premi per meriti scientifici da finalizzare essenzialmente all’incremento dei salari tabellari. Solo la partita del "merito", che i sindacati vorrebbero riportare in ambito negoziale, vale 200 milioni.

Anche il “governo” e l’organizzazione del lavoro a scuola – a partire dagli orari – va ricondotto per le organizzazioni dei lavoratori in uno spazio condiviso condiviso con lavoratori e sindacati, sottraendolo a una logica aziendalista e unilaterale. La Flc, si legge in un comunicato, “vuole un buon contratto che tenga conto delle specificità di scuola, università, ricerca e Afam rispetto al resto della pubblica amministrazione. Queste istituzioni basano il loro funzionamento sui prin’ipi costituzionali dell’autonomia, l’autogoverno, la libertà di insegnamento e di ricerca. Un buon contratto non può prescindere da queste peculiarità”.

“Siamo disponibili a impostare da subito la discussione per far partire realmente la trattativa e ci aspettiamo un calendario serrato. Non accetteremo nessun arretramento sul terreno delle relazioni sindacali e sugli incrementi stipendiali: 85 euro medi mensili come base di partenza per l’avvio del confronto”, conclude il comunicato. Bisogna però fare presto. “Il blocco dei rinnovi contrattuali che dura ormai da anni ha reso ancor più critica una situazione di generale sottovalutazione del lavoro che si svolge in settori di importanza strategica come quelli cui fa riferimento il nostro comparto – sostengono i segretari generali dei sindacati di categoria di Cgil, Cisl, Uil  e Snals Francesco Sinopoli, Maddalena Gissi, Giuseppe Turi e Elvira Serafini –. Da qui l’esigenza di rinnovare il contratto, attraverso il quale ridare dignità ai lavoratori del settore troppo spesso sacrificati dalle scelte di politica finanziaria di questi anni”.

Il percorso verso il riconoscimento di uno status economico e normativo più dignitoso per i sindacalisti “parte dal rinnovo del contratto di lavoro che presuppone un innalzamento più generale dei livelli di investimento in conoscenza, lo stiamo rivendicando da tempo e continueremo a farlo chiedendo che i temi dell’istruzione, della formazione e della ricerca ricevano a livello politico la dovuta attenzione. Saremo in questo senso interlocutori esigenti con le forze politiche impegnate nell’imminente campagna elettorale e più ancora col nuovo Parlamento e il nuovo governo”.