“L’economia nazionale frena e imbocca la strada della stagnazione. I timidi segnali di ripresa si sono già esauriti. Il governo è così costretto a rivedere i conti pubblici e le stesse misure in legge di stabilità”. Questa l’analisi fornita dalla Cgil, che trova riscontro nell’osservazione dei principali indicatori macroeconomici nazionali, curata dall’area delle politiche economiche, e riportata nel terzo numero dell’Almanacco dell’economia. “Si può dire – prosegue lo studio – che la ripresa appena cominciata è già finita”.

La verità è che l’Indice di ripresa della domanda effettiva (Iride), l’indicatore economico elaborato dalla Cgil, che segnala in che direzione va il Paese, già nella precedente elaborazione aveva predetto un brusco rallentamento dell’economia italiana, confermato poi dagli ultimi dati Istat sulla crescita. Il semaforo, rappresentato dagli occhi della civetta, simbolo dell’Almanacco, era giallo: la predizione dell’indicatore era corretta.

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Dall’elaborazione dei dati macroeconomici, realizzata dalla Cgil sui conti trimestrali dell’Istat, si sottolinea la forbice fra la crescita effettiva del Pil nel 2015 (0,6%) e quella prevista dal Mef (0,9%). Un errore che preoccupa il sindacato di corso d’Italia, poiché preannuncia la possibilità di una manovra correttiva già in primavera: “Le previsioni del governo, su cui sono state fondate le ultime due leggi di stabilità, contenevano delle previsioni di crescita superiori dello 0,3%. Decimali – tiene a sottolineare la Cgil – assolutamente non trascurabili”.

Non solo. Dal “cruscotto” dei principali indicatori macroeconomici nazionali si evince anche un peggioramento, a fine anno, dei dati relativi al mercato del lavoro, nonostante l’avvicinarsi del termine per utilizzare gli sgravi contributivi legati al Jobs Act. La produzione industriale registra una flessione mensile pari a meno 0,7%; il fatturato dei prodotti industriali a meno 1,1%. Nel 2015 le forze di lavoro contano un saldo dei nuovi lavoratori a tempo indeterminato di appena 80mila persone, in media annua, a fronte di 7,5 miliardi di risorse disponibili (tra decontribuzione per nuove assunzioni e riduzione Irap sul costo del lavoro). Il tasso di disoccupazione giovanile resta 18 punti sopra il livello pre-crisi.

Per la Cgil, l’essersi affidati alle sole variabili esogene e alle esportazioni ha “dapprima sollevato l’economia nazionale, anche se a ritmo largamente inferiore agli altri paesi industrializzati, per poi riportarla subito in basso. Scommettere sul mercato, senza politica industriale e nuovi investimenti pubblici – prosegue l’analisi della Cgil contenuta nell’Almanacco dell’economia – non ha portato gli investimenti sperati”. Per questo corso d’Italia sostiene da tempo la necessità di cambiare politica economica per uscire dalla crisi, in Italia come in Europa. “Occorre prevedere un nuovo intervento pubblico in economia – propone nel suo Piano del lavoro – per redistribuire, investire, innovare e creare occupazione”.