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"Il nostro Paese è un po' come una persona gravemente malata, che ora sta leggermente meglio, ma che, per ragioni non chiare, viene spinta a uscire di casa prima ancora che stia bene per davvero". Così Nino Baseotto, segretario confederale Cgil, intervistato oggi da RadioArticolo1 (podcast), a proposito dei 79.000 nuovi contratti a tempo indeterminato, che, secondo il ministero del Lavoro, si sarebbero registrati nel primo bimestre 2015.
"In realtà – secondo il dirigente sindacale –, siamo di fronte a dati contraddittori, perchè l'Istat parla di un calo considerevole del fatturato, sempre nello stesso periodo. Tra l'altro, i dati sull'occupazione sono da verificare, in quanto non sono tutti nuovi posti di lavoro quelli dichiarati, ma possono essere anche cessazioni e ricollocazioni, cambi nominalistici di datori di lavoro. Le cifre sulla produzione industriale sono assolutamente preoccupanti, perchè rivelano che strutturalmente la crisi in Italia non è stata ancora superata e confermano che le politiche attuate sono insufficienti e vanno cambiate".
"Rispetto all'occupazione – prosegue Baseotto –, l'obiettivo principale è far scendere il 47% di disoccupazione giovanile, altrimenti il nostro Paese non ha prospettive. Molti commentatori adducono i nuovi posti di lavoro come primo frutto del Jobs act, ma sarebbe più corretto leggerci forse un effetto del taglio al cuneo fiscale o degli sgravi contributivi previsti dall'ultima legge di Stabilità. Sarebbe bene che il Presidente del Consiglio non si limitasse a fare propaganda, anche perchè il Jobs act, secondo noi, non produrrà degli effetti stratosferici sull'occupazione. Basti pensare che con il contratto a tutele crescenti a un'azienda conviene licenziare e poi riassumere".
"Il nostro Paese è sempre in una situazione drammatica – osserva ancora il segretario confederale –, con tantissimi uomini e donne che non hanno lavoro e ne cercano disperatamente uno. Abbiamo la possibilità di uscire dalla crisi, se si cambia verso alla politica economica. Non si arresta il declino se, al contrario, si continua a puntare sulla diminuzione del costo del lavoro e sulla restrizione dei diritti, come si fa ormai da troppi anni".
"Per chiedere un cambiamento profondo – sottolinea Baseotto – e per denunciare la situazione drammatica in cui versa il lavoro, domani saremo ancora una volta in piazza, per la manifestazione nazionale organizzata dalla Fiom e che vedrà la partecipazione della Cgil, che condivide le critiche al Jobs act e le richieste di natura sindacale e contrattuale della piattaforma dei metalmeccanici. Se poi quella manifestazione qualcuno vuole trasformarla in altro, tanto per parlarci chiaro, in un trampolino di lancio per la cosiddetta coalizione sociale, su questo la Cgil non c'è".
"Tra gli obiettivi per cui siamo di nuovo in piazza – aggiunge l'esponente della Cgil –, ci sono anche i rinnovi contrattuali e la qualità del lavoro da perseguire. È un nodo fondamentale, in prospettiva. Una delle lesioni più profonde che causa il Jobs act è proprio il fatto d'incentivare la competizione al ribasso, con un insieme di provvedimenti che rendono più facili i licenziamenti e non cancellano le forme precarie d'ingresso al lavoro, che, al contrario, aumentano con i contratti a termine e le tutele crescenti. Ciò si ripercuote gravemente sulla condizione dei diritti delle persone, perchè prefigura gran parte delle prestazioni di lavoro fondate sulla precarietà. Operazione esattamente opposta alla necessità di accrescere i rapporti professionali e la qualità delle prestazioni. L'Italia può competere se punta sulla qualità dei prodotti, determinata anche da un'alta qualità professionale di chi lavora. Viceversa, con un sistema dove il lavoro è sempre più precario e dove si possono licenziare o demansionare le persone a piacimento, non si va da nessuna parte. Tant'è, che le imprese più esposte dal punto di vista della competizione globale, hanno una percentuale assai alta di lavoratori a tempo indeterminato, perché sanno che un costo del lavoro più alto di chi precarizza si traduce in investimento sulla qualità della prestazione lavorativa e in componente essenziale di competitività sul mercato".
"Continuando a perdere pezzi fondamentali, l'ultimo è la Pirelli – a giudizio di Baseotto –, la nostra industria mostra limiti strutturali, dal punto di vista delle dimensioni d'imprese. Bisognerebbe ragionare, una volta per tutte, sul fatto che negli ultimi vent'anni vi sono stati continui provvedimenti che hanno flessibilizzato e precarizzato il mondo del lavoro, abbassando la capacità competitiva del nostro sistema. Queste cose sono sotto gli occhi di tutti, ma si continua a far finta di non vederle per ragioni prettamente ideologiche, che non fanno bene nè al Paese nè a chi lavora".
"Dopo il 28, per quanto ci riguarda – conclude il sindacalista –, le mobilitazioni continueranno. Ma anche in Cisl e Uil si sta diffondendo la consapevolezza che oggi, più di ieri, è necessario prendere iniziative unitarie, se si vuole contare e determinare cambiamenti positivi. Spero che le mobilitazioni unitarie di tante categorie aiutino anche le federazioni dei metalmeccanici a fare passi avanti sul terreno dell'iniziativa comune, e penso che come Confederazione non possiamo far altro che guardare a queste cose con grande favore. Noi facciamo un lavoro difficile, sul piano della ricerca dell'unità: sulle pensioni abbiamo scritto insieme una lettera al ministro Poletti e stiamo cercando di fare altre cose, ma la spinta unitaria deve venire dal basso. Questa è la ricetta che ci vuole per rilanciare il ruolo del sindacato nel Paese".