"Il mondo è sempre più ineguale, nei paesi ricchi e in quelli in via di sviluppo. In Italia l'ineguaglianza è cresciuta in un movimento che dura dal 1980. In Italia e in tutto il mondo". Lo ha detto Romano Prodi nel corso della sua lectio magistralis su "Politiche sbagliate, paure e ineguaglianze", a Rimini durante le Giornate del lavoro organizzate dalla Cgil.

Lo scenario, la dottrina
"Cosa è successo dal 1980" a oggi?, si chiede l'ex presidente del Consiglio, attualmente alla guida della Fondazione per la Collaborazione tra i Popoli. E risponde: "Un cambiamento di dottrina. La visione del mondo è cambiata" dopo l'avvento delle politiche propugnate da Thatcher e Reagan.

"Da allora è diventata dottrina che le imposte sono un fatto negativo. Conseguenza: chiunque parla di imposte perde le elezioni, ve lo posso testimoniare. È un cambiamento radicale avvenuto nella nostra testa", spiega Prodi all'uditorio raccolto in un Teatro degli Atti gremito.

Un'altra conseguenza segnalata dal Professore è che ormai "si ritiene un fatto negativo in tutto il mondo l'imposta sull'eredità, mentre dovrebbe essere un fattore di redistribuzione e uguaglianza". "Da un paio di anni gli economisti hanno incominciato a segnalare questo problema come fatto prioritario: Krugman, Stiglitz". E adesso l'economista francese Thomas Piketty, che secondo Prodi "rovescia completamente il dibattito affermando che il libero mercato ha una costante tendenza all'ineguaglianza, se lasciato solo". Piketty - ricorda sempre Prodi - propone che i redditi sopra i 500mila dollari abbiano l'80% di imposizione fiscale. Propone la tassazione sull'eredità. E "ovviamente è attaccato dal Wall Street Journal, che l'accusa di essere comunista". Piketty - prosegue Prodi - "sostiene anche che bisogna tassare capitale e ricchezza in modo più forte che non il lavoro. Ma sono proposte non facili da applicare, anche perché il capitale e mobile e il problema di colpirlo fiscalmente è di drammatica difficoltà".

Non funziona più l'ascensore sociale
Prodi ha poi ammonito sull'avvento delle nuove tecnologie come ulteriore fonte di disuguaglianza. "Questa rivoluzione tecnologica è molto diversa dalle altre. Questa rivoluzione spacca e riduce moltissimo il ceto medio, e tocca tutti i gangli della società. Spariscono segretarie, contabili, disegnatori - spiega il Professore -. Quindi, per mantenere l'occupazione, occorre un tasso di sviluppo molto forte" e al momento improbabile.

La disuguaglianza, ricorda Prodi, viene ormai accettata come una realtà ineluttabile anche nei paesi in via di sviluppo. Ad esempio in Cina, dove "la differenza tra campagna e città è stata accettata". "Ultimo e non secondario contributo alla disuguaglianza è l'aumento della disoccupazione giovanile, l'aumento di coloro che non si presentano neanche alla ricerca di un lavoro".

La conclusione di Prodi è che "non funziona più l'ascensore sociale, e c'è una crescente difficoltà del sistema democratico a rappresentare gli esclusi. Siamo alla globalizzazione dell'indifferenza", spiega Prodi citando papa Bergoglio.

L'Unione Europea e la minaccia dei populismi
"La UE era nata per rappresentare un argine a questa deriva. Nel tempo le aree periferiche più povere sono sempre cresciute di più di quelle centrali. Ma la capacità di redistribuzione dell'Unione è a un livello quasi di carità: circa l'1% del Pil europeo. Il populismo - deduce quindi Prodi - si è molto alimentato di queste difficoltà. Dovremmo avere una tassazione impostata direttamente in rapporto con la popolazione, senza mediazioni degli Stati membri. Ma questo oggi non è pensabile, perché la Commissione Ue non esercita alcun potere, il potere è tornato agli Stati nazionali, e il Consiglio agisce come portavoce degli Stati nazionali. Questi ultimi 10 anni avrebbero dovuto sancire il passaggio al rafforzamento dell'Europa - prosegue Prodi -, e invece c'è stato un regresso. Eppure l'Europa in questi 10 anni di allargamento e di introduzione dell'Euro è stata l'unica esperienza di esportazione della democrazia nel mondo".

Ma il "passaggio finale" e stato bloccato perché la Costituzione europea è stata bocciata dai referendum in Francia e Danimarca, ricorda Prodi, "e c'è stata la paralisi". "Sono iniziati gli anni della paura - spiega -, perché la crisi economica non è stata affrontata a livello europeo".

Prodi ha ricordato gli interventi di politica keynesiana di Stati Uniti e Cina, investimenti da centinaia di miliardi di euro riversati nell'economia e nelle infrastrutture quattro anni fa, quando scoppiò la crisi. "In Europa invece la paura ha bloccato ogni decisione. Eppure l'Europa resta numero uno nella produzione industriale e, come economia, seconda solo agli Usa, ma non ha avuto la forza di reagire alla crisi a causa delle divisioni e paure interne, e a causa di un cambiamento di leadership", ha detto Prodi riferendosi esplicitamente alla linea politica della cancelliera tedesca Merkel. Con questa paralisi decisionale "l'Europa ha lasciato crescere il populismo", ha detto Prodi ricordando, tra le cause, il "cambiamento nei rapporti di forza tra Francia e Germania, e l'isolamento dell'Italia negli anni di Berlusconi. Poi, soprattutto, il maledetto 'accorciamento della politica': il politico è sempre più attento alle elezioni immediate - sottolinea Prodi -, questo è il grande cambiamento della democrazia: ogni più piccola elezione è diventata di importanza nazionale, e l'accorciamento degli orizzonti è diventato un fatto drammatico. C'è un sistema che accorcia sempre più i propri orizzonti".

"Quando (nel 2010, ndr) è scoppiato il caso greco - ricorda il Professore - era un piccolo caso all'interno dell'Europa. Ma i 30 mld da stanziare sono diventati 300" perché nel frattempo Merkel bloccò ogni decisione a causa delle elezioni regionali nel Nordreno Vestfalia. Ecco un esempio di accorciamento dell'orizzonte politico".

La Germania e l'Europa
Tutte le decisioni che riguardano l'Europa, negli ultimi anni, "sono venute da un ente non democratico: la Bce. E tutta l'Europa è stata governata dalla Germania". Ma "qualsiasi intervento di solidarietà non viene accettato politicamente dall'opinione pubblica tedesca", ormai convinta da Merkel che sarebbe un favore ai "cialtroni" latini e mediterranei. "Eppure - rileva Prodi - con questa politica la Germania è riuscita ad arginare la crescita del populismo. Merkel ha rassicurato i tedeschi, e quindi il populismo è stato assorbito".

Oggi lo sbilanciamento nell'economia mondiale lo dà proprio la Germania, sottolinea il Professore: "Ha un enorme surplus della bilancia commerciale. Ha un'inflazione quasi nulla, un bilancio in pareggio: dovrebbe dare benzina agli altri paesi europei, ma il quadro politico che ho descritto prima lo impedisce. Cosa dobbiamo chiedere. Aiuti? No. Violazione delle regole? No. Semplicemente una politica di sviluppo come quella fatta da Stati Uniti e Cina. Questo devono chiedere i paesi europei. Bisogna costruire un'alternativa di politica economica che sia condivisa da molti paesi europei", e che induca la Germania a un cambiamento.

Le elezioni
Secondo Prodi dalle elezioni europee "qualche cambiamento potrebbe arrivare. Ci sarà un indubbio successo dei partiti populisti. Quindi è probabile che emergerà una grande coalizione che dovrà prendere decisioni nuove. È probabile che le elezioni spingeranno a decisioni più forti". La pressione dei populismi potrebbe portare a un compattamento delle istituzioni europee, a una Commissione più autorevole e a un rafforzamento del Parlamento.

"Sono convinto che le mediazioni al ribasso non pagano - ammonisce però il Professore -. Ora dobbiamo fare una politica coraggiosa per assumere una leadership a livello mondiale. Ce lo chiedono tutti i paesi del mondo. Il problema è la poca Europa. Non avere nel mondo quella capacità decisionale di cui c'è bisogno. Costruire l'Europa è stata già un'impresa grandiosa. Eppure questo è il nostro destino, altrimenti scompariamo totalmente. Ma non c'è più tempo. La caduta di immagine che abbiamo avuto in questi anni è impressionante", ammonisce Prodi, concludendo il suo intervento con un appello in difesa della moneta unica: "Cerchiamo di non perdere l'euro, abbiamo una responsabilità nei confronti dei nostri figli e nipoti". (D.O.)