Tutti i commentatori degli ultimi dati Istat sul mercato del lavoro, riferiti al secondo trimestre 2016, si sono concentrati sull’aumento del totale degli occupati che quei dati registrano, un aumento sicuramente rilevante rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente: quasi 439 mila unità, pari al 2% del totale. Una crescita che dipende chiaramente da diversi fattori, a partire da una fase moderatamente positiva che la nostra economia ha vissuto nei mesi scorsi, anche se ormai sembra tramontata.

Quasi nessuno si è preoccupato di analizzare quei dati un po’ più a fondo, per vedere come sta cambiando la struttura del mercato del lavoro. Per vedere, in particolare, se si sta realizzando oppure no l’obiettivo primario con il quale i fautori del cosiddetto Jobs Act avevano motivato la necessità della sua applicazione: il ridimensionamento del precariato. “Siamo sulla strada giusta contro il precariato – declamava nell’agosto 2015 il nostro primo ministro –, il Jobs Act è un’occasione da non perdere, soprattutto per la nostra generazione”.

Peccato che proprio i recenti dati Istat, esaltati come un grande successo, smentiscano questa affermazione. Se si considera infatti l’aumento dei soli occupati a tempo determinato e a part time nello stesso arco temporale, dal secondo trimestre 2015 a quello del 2016, questo è di oltre 218 mila unità, circa la metà dell’incremento occupazionale totale. Ciò fa sì che la quota di lavoratori a tempo determinato sul totale dei lavoratori dipendenti continui a crescere, sia pure di poco. E che cresca anche, in modo più corposo, la quota dei lavoratori part time sul totale degli occupati, come illustra chiaramente la tabella che segue.

Non solo. Sempre in tema di precarizzazione, non va dimenticato quanto emerso dagli ultimi dati Inps sull’utilizzo dei voucher, da cui si apprende che lo strumento in questione continua a crescere a ritmi vertiginosi. Nazionalmente, la vendita dei buoni lavoro è cresciuta nel primo semestre di quest’anno di un altro 40,1% rispetto al primo semestre 2015: quasi 67 milioni di voucher venduti in soli sei mesi, una cifra davvero enorme.

Insomma, nonostante la quantità enorme di risorse messe in campo per incentivare le assunzioni con il contratto impropriamente detto “a tutele crescenti”, non si può certo affermare che il nostro Paese sia avviato sulla strada di un contenimento del ricorso al lavoro non-standard, una piaga che colpisce soprattutto le generazioni più giovani e che ha ripercussioni negative sulla stessa produttività del nostro sistema Paese.