“Berlino – recita il motto - è una città che cambia. Un cantiere a cielo aperto. Vacci e troverai sempre una gru.” Per circondare di polpa queste parole che sembrano frasi fatte o lette su una rivista, mi trovo costretto a ricorrere all’ingannevole strumento del ricordo personale. E dunque cercherò di descrivere due immagini di uno stesso luogo nel corso del tempo, a Berlino:

Potsdamer Platz, un giorno d’agosto del 1990.
Un giorno d’agosto del 1997, a Potsdamer Platz.

Le ho viste io, c'ero. Eppure, se dovessi mettere le immagini una accanto all'altra su di un tavolo senza sapere che rappresentano lo stesso luogo ma in tempi diversi, penserei che solo una è stata percepita sulla Terra, mentre quella che segue appartiene ad altri pianeti.

Potsdamer Platz, un giorno d’agosto del 1990
(Brachland - terra di nessuno)
Sembra una casa svuotata da un trasloco. Uno spazio che contiene sottrazioni rumorose. Arriviamo al tramonto, resteremo per l’ingresso della notte. Siamo in due, io e un compagno di studi: sbarbatelli dell’idioma, turisti della lingua che a malapena sanno chiedere un caffè in tedesco. Abbiamo deciso di perderci? Camminiamo da quasi due ore in un città sconosciuta ai suoi stessi abitanti. Veniamo da Kreuzberg. Già abbiamo alle spalle gli anarchici di Oranienstrasse, i tossici di Kottbusser Tor, i mendicanti di Nollendorfplatz e chissà quante altre strade. E adesso calpestiamo una steppa circolare e vasta, un cratere nel mezzo della città. La voragine causata dalla storia, dalla violenza, dai poteri del Novecento è un dominio di terriccio e cespugli, mucchi di cartone, latte accartocciate nella polvere, carcasse di Trabant che un gigante sembra avere succhiato, spolpato e sputato via.

Avviciniamo i resti del Muro che fino a pochi mesi fa separava in due la piazza e oggi assomiglia alla spina dorsale di una bestia preistorica, appena sporgente dalla terra. Camminiamo sulla schiena del Muro: sbuca di pochi centimetri dal suolo, disseppellito. Tutto intorno, come spettatori inorganici di un Colosseo cementificato, assistono i palazzi enormi del socialismo reale, gli alberghi, i grattacieli. E questo non-luogo dove siamo finiti, è lo spettacolo. Nel nulla abita l’evento. Un buco nero della storia, disintegrato e buono per i fantasmi, gli artisti da circo, i nomadi, gli angeli di Wenders.

I colori: grigio, nero, blu notte. Gli odori: birra, urina, ferro, catrame.

Cento anni fa qui scorrevano le carrozze, passeggiavano le prostitute e alle loro spalle uomini in abito scuro, ciascuno legato al centro della piazza da elastici invisibili che consentivano un movimento circolare e tutt’intorno, ma proibivano la fuga. Un posto perfetto e immutabile. Insomma, il quadro di Kirchner. Poi il nazismo, la guerra, le bombe, il sale sparso sul campo degli sconfitti, il Muro, la vita all’ombra del Muro e infine il Muro a pezzi. Infine oggi, questa notte, noi: dopo un secolo di storia, le tasche piene di detriti.

Un giorno d’agosto del 1997, a Potsdamer Platz
Dalle vetrate del caffè, nella biblioteca di stato, vedo il cantiere del futuro edificio Benz. Sorgerà qui accanto. Farà ombra al Kulturforum, ma questo posso affermarlo adesso che scrivo (che ricordo). Mentre ora, nella biblioteca dove sono solo uno sguardo senza profezie, mi limito a deglutire le centinaia di uomini e caschi, carpentieri, ferraioli, muratori, le travi manovrate, le betoniere, le carrucole, i gruppi elettrogeni, la polvere che s’alza e sporca i vetri del caffè, le anime di acciaio, le ossa di cemento armato.

Prendo un paio di giornali dove ho trovato informazioni, un taccuino e annoto: “La città è irriconoscibile, butterata da voragini nell’asfalto e montagne di sabbia e piscine di calcestruzzo. E disomogenea, frantumata e scissa in migliaia di centri di lavoro in corso. Davanti al Reichstag, mascherato dalle impalcature, si distende un cantiere sconfinato. Berlino è cambiata. Bisogna visitare Potsdamer Platz per capirlo. Questa piazza oggi ospita il cantiere più impegnativo, eretto da Sony, Asea Brown Boveri e Debis (una filiale della Daimler-Benz), dalla Regione e dalle Ferrovie tedesche, che alle soglie del nuovo millennio dovrà restituirle la sua dignità. È il cantiere più grande d’Europa. Ha prodotto, finora, mille tonnellate di sabbia e ghiaia, accumulate in grosse piramidi che ingombrano il paesaggio. Dispone di condutture e nastri trasportatori su trampoli luccicanti, di silos circolari e massicci. L’acciaio, il cemento e le pietre da costruzione vengono trasportati su rotaie. I rifornimenti arrivano attraverso un ponte costruito provvisoriamente su un canale confinario della Sprea. Il che è stato reso possibile dalla costruzione di un centro logistico, prima che iniziassero i lavori, fornito di collegamenti su binari, di fonde navali e betoniere, e costato 35 milioni di marchi. Tutto questo è impressionante e non si può ancora dire se renderà Berlino migliore o peggiore”.

Esco e mi dirigo alla metro di Potsdamer Platz. Passo sotto un ponteggio. Per un sentiero di argini gialli di plastica. Accosto tre cantieri, forse quattro. Scendo sottoterra.

Stasera in tv guardo “Berlin - Stunde Null”, il documentario sugli ultimi giorni della Berlino nazista. Immagini in bianco e nero di bombardamenti, edifici sbrindellati, macerie. È il loop di Berlino: distruzione, ricostruzione, distruzione, ricostruzione…



Post Scriptum
Dal «Tagespiegel.de»
14.11.2008, 11:12


“Un uomo si getta nel vuoto a Potsdamer Platz”
Un 52enne si è tolto la vita gettandosi da un grattacielo di Potsdamer Platz. Il luogo dell’incidente è stato chiuso al traffico

“Giovedì sera un 52enne della Bassa Sassonia si è gettato nel vuoto dalla piattaforma Panoramapunkt di Potsdamerplatz. La polizia ha trovato sul luogo una lettera di addio, ed è orientata a confermare l’ipotesi del suicidio. Un testimone che passava accanto all’edificio ha assistito all’incidente intorno alle 18.30. Il 52enne si è gettato nel vuoto da un’altezza di 95 metri, per poi urtare e rimanere immobile su di un’impalcatura alta cinque metri eretta tra il palazzo e il marciapiede. I soccorsi sono arrivati quando era ormai troppo tardi. Durante la rimozione del cadavere, la Alte Potsdamer Strasse è rimasta chiusa fino alle 19.30, all’altezza di Varian-Fry-Strasse e Potsdamer Platz.”

(Al sito internet della piazza, che recita: “The Platz to be”, si può aggiungere un exit: “The Platz to die”).