“Lavoravo otto ore al giorno in un centro di accoglienza, pagato con due voucher. Per me era una parola buona, pensavo si trattasse di un bonus. Ma a fine mese, quando ho chiesto la busta paga, mi hanno detto che ero già stato pagato. Per quante ore o per cosa? Non era definito”. A dirlo è Ibrahim Kobena, della Costa d'Avorio. C'è poi la storia di Renato Aiello, della ex Ciprogest: “All’inizio – ricorda – avevo l’impressione di fare il lavoro del regionale, un posto tranquillo, sicuro. Poi iniziarono ad arrivare la cassa integrazione e il crac della Parmalat, fino al blocco totale. Da azienda d'elite per i succhi degli agrumi, seconda solo alla Fiat nella stessa area industriale, siamo diventati un depuratore che smaltisce il percolato di Bellolampo. Oggi siamo rimasti in 46: ventidue lavorano, gli altri ventiquattro sono in cig”.

Sono due delle tante storie raccontate oggi (28 febbraio) al Teatro Santa Cecilia di Palermo nel corso dell'iniziativa Cgil “Parla il lavoro”, una grande assemblea pubblica per presentare il referendum su voucher e appalti. Ad ascoltarle, in una platea piena di lavoratori, c'erano le associazioni che sostengono i due quesiti insieme al gruppo dirigente della Cgil, deputati nazionali e regionali, consiglieri comunali e sindaci (tra gli altri il sindaco Leoluca Orlando e gli altri candidati Ugo Forello, Fabrizio Ferrandelli e Nadia Spallitta). “Rabbia, solitudine, vulnerabilità, disincanto: ultimi contro penultimi, è la cultura del meno peggio”. Così il segretario Cgil Palermo Enzo Campo ha presentato l'iniziativa: “Siamo un'isola marginale, dove le industrie manifatturiere chiudono una dietro l'altra. Si allarga sempre più il divario tra Nord e Sud, ma anche tra zone interne del Mezzogiorno. Alla classe politica chiediamo di mettere al centro il lavoro, la sua quantità e qualità. Noi faremo una battaglia democratica per cambiare l'Italia con il consenso di milioni di lavoratori. È una sfida di democrazia e libertà del mondo del lavoro”.

Storie di licenziamenti, lavoro malpagato, discriminazioni. Storie di vita reale. Da Maria Alfano, 33 anni, cassiera inquadrata da addetta alle pulizie con uno stipendio inferiore a quello dei colleghi uomini, a Gabriele Martorana, studente: “Oggi ci avviciniamo al mondo del lavoro come a un mondo ignoto: non sappiamo cosa siano i voucher e nemmeno quante tipologie di contratto esistano”. Drammatica la testimonianza di Francesco Bartolone, 47 anni: “Siamo considerati un ibrido. Per diventare guardia giurata ci vuole il titolo di polizia, ma non veniamo riconosciuti. A ogni cambio d'appalto risparmiano sul costo del lavoro e ci licenziano”. Angelo Ventura, 41 anni, da dieci lavora in una mensa del cantiere navale. Di punto in bianco, proprio per un cambio d'appalto, si è ritrovato ai cancelli con in mano un badge che non funzionava più. Licenziato. “Hanno violato completamente il codice degli appalti – dice –. Speriamo che il giudice ci consenta di tornare al nostro posto”.

Io sto in galleria otto ore al giorno, non ho il badge, non faccio partite a tennis e non ho la pausa caffè

Il messaggio che si può cambiare l'ha lanciato Domenico Seminara, portuale di un'azienda sequestrata alla mafia. Mentre Giannico Trombetta, cooperatore sociale, assistente igienico-sanitaria, ha raccontato di sentirsi sempre precario pur lavorando da vent'anni, e sempre con la stessa passione. “Oggi ci scade la proroga. A ogni nuovo contratto c'è l'incertezza e l’ansia: non puoi programmare il bilancio familiare”. Ancora, la storia di Paolo Capodici, consulente telefonico outbund che collabora con Almaviva, pure lui precario un decennio. “Lavoriamo fianco a fianco con gli inbound, eseguiamo le stesse direttive, gestiamo gli stessi clienti. Ma siamo pagati la metà”. “Per lo Stato sono un privilegiato perché lavoro – dice Nicola Morreale, edile alla Sis –. Porto a casa uno stipendio, ma vivo sotto la minaccia dei duecento licenziamenti. L'edile ha le mani con i calli, non lavora tra scrivanie e computer. Io sto in galleria otto ore al giorno, non ho il badge, non faccio partite a tennis e non ho la pausa caffè”. Francesco Amorello, assistente amministrativo del Miur, ha raccontato storie di ordinaria difficoltà a partire dalle sostituzioni impossibili. “Siamo in tre e possiamo assentarci solo se non si assenta un altro collega”. Ha concluso Anna Maria Randazzo, ex dipendente di banca, pensionata. “Ogni impegno profuso per assicurare ai figli l'indipendenza economica e la crescita attraverso il lavoro è stato deluso. Oggi noi fungiamo da ammortizzatori sociali. E la tristezza e lo scoramento dei nostri figli mal si addice alla loro età. Sulla loro pelle constatiamo che il lavoro nero dilaga, che una notte di dodici ore viene retribuita con 30 euro, che pagano con i voucher intere giornate. Ma insieme si vince, ce la possiamo fare”.

A concludere l'iniziativa è stato il segretario confederale della Cgil Vincenzo Colla, chiedendo al governo di fissare la data del voto per i referendum. “Da questa importante città del Sud lancio un appello: dateci la data. Non si può fare tattica con la democrazia, le tattiche hanno le gambe corte e la gente capisce. Mettiamo al centro il lavoro, non la legge elettorale, di cui si discute da mesi. Milioni di lavoratori hanno firmato per ripristinare il diritto al lavoro. Al governo chiediamo di unificare le date del voto con l'election day. Risparmiamo 300 milioni per la gente che ha bisogno, per chi è in cassa integrazione. Siamo dentro a una bolla di povertà – ha aggiunto parlando dei voucher –, a un auto-avvitamento che va avanti dal 2008, un modello che produce diseguaglianze e la povertà di chi lavora. La crisi non è nata da sola. Il voucher non è stato proposto per caso. Dietro all'esplosione di milioni di buoni lavoro ci sono persone. Nessuno in Europa usa uno strumento del genere, senza rapporto tra impresa e lavoratori”.