C'è l'edile che non lavora più da anni perché "i subappalti non bastano". C'è il metalmeccanico licenziato costretto a farsi "mantenere da genitori e suoceri". C'è chi aspetta "da 5 mesi lo stipendio" e chi difende il suo contratto precario nella vertenza Almaviva. Ci sono i precari della pubblica amministrazione, gli stagionali, gli operai agricoli "settantottisti". È la "Sicilia in lotta", quella che è scesa in piazza sabato 7 maggio a Palermo, nella manifestazione di Cgil, Cisl e Uil, che ha voluto mettere insieme le vertenze più calde degli ultimi mesi. Vertenze, con un unico comune denominatore, come ha spiegato il segretario della Cgil di Palermo, Enzo Campo: il disvalore del lavoro. "Un lavoro sempre più povero - ha detto Campo - che perde valore, realtà amara che colpisce non soltanto lavori già sottopagati, come il caso dei laureati di Almaviva, ma anche settori produttivi pieni di operai specializzati come il Cantiere Navale". 

E allora, eccole le voci della Sicilia in lotta, raccolte durante la manifestazione di sabato. Sono voci che danno un volto ai numeri della crisi siciliana, con un tasso di occupazione che è sceso dal 43,3 del 2008 al 38 per cento del 2015, mentre la disoccupazione è arrivata al 23,9 per cento e quella giovanile al 65 per cento.

Cosimo Riccobono, 56 anni, operaio edile della Sis, lavora al passante ferroviario. “Crocetta è venuto a raccogliere  i nostri voti, facendo solo propaganda, e non ha mantenuto le sue promesse. Vogliamo risposte, abbiamo chiesto di sbloccare i fondi, di far ripartire i troppi cantieri fermi di Palermo per farci lavorare. Le gare non partono da anni. Devono dare lavoro agli edili palermitani, il settore più colpito dalla crisi. Non bastano i subappalti. Ci sono centinaia di edili disoccupati, che non lavorano più. Io lavoro in un’azienda solida e  spero di non fare la fine di Almaviva ma  la paura è sempre dietro l’angolo. A 56 anni mi sento già stanco, non potrò arrivare mai ai 42 anni di contributi per andare in pensione. Il lavoro edile è discontinuo, oggi si lavora, se c’è un appalto,   e domani  invece no. Il governo cambi strategia”.

Giuseppe Liardo, 31 anni, montatore meccanico, licenziato dalla Comeco di Gela, azienda metalmeccanica fallita, che ha licenziato 100 operai. “Provo grandissima rabbia, è dura mantenere la famiglia, mi faccio  aiutare da genitori e suoceri. Da agosto non perdiamo nessun indennizzo. E non trovo lavoro, ho provato a cercare lavoro altrove,  ma non mi hanno risposto né in Sicilia  né  nel resto d’Italia”.

Giuseppe Faraci, 47 anni, ex tubista di un’azienda metalmeccanica.. “Lavoravo alla Smim di Gela, e siamo stati licenziati tutti e 115. Dopo 32 anni di servizio, oggi sto  peggio di un esodato. Aspetto da cinque mesi lo stipendio, ovvero  la cassa integrazione in deroga, che per noi è scattata a ottobre”.

Simona Acquaviva, 36 anni, precaria di Almaviva Palermo: “Siamo arrabbiatissimi, ci sentiamo dimenticati dalle istituzioni. Si parla di 1.670 licenziati a Palermo, in una città che non offre alternative di lavoro. Il nostro lavoro, all’inizio ci serviva per pagarci gli studi ma è diventato il lavoro della vita. E non vogliamo perderlo. Io ho interrotto gli studi a Economia e Finanza per dedicarmi al call center. E ora siamo ancora più arrabbiati. Siamo qui per dire a Crocetta che il nostro lavoro non si tocca. Abbiamo bocciato la proposta che prevedeva la riduzione dei nostri salari perché siamo persone e non vogliamo perdere la dignità”.                                

Francesca Randazzo, 44 anni, precaria, contrattista a tempo determinato presso il Comune di Carini. Al loro fianco ha manifestato il sindaco di Carini Giovanni Monteleone. “Il Comune il 30 aprile ha dichiarato il dissesto e noi, 105 precari del Comune, siano stati sospesi dallo stipendio. Giuridicamente  siamo stati prorogati per due mesi in attesa  dell’autorizzazione del ministero e dell’arrivo dei trasferimenti regionali. Trasferimenti per  gli enti locali che sono bloccati: molti   comuni sono ormai nelle nostre condizioni, a un passo dal dissesto. E noi, che rappresentiamo quasi il 50 per cento della pianta organica del nostro Comune, dove in totale i dipendenti sono 238,  siamo qui con la paura di perdere il posto di lavoro”.

Emanuela Provenzano, 26 anni, precaria del comune di Capaci. “Dopo 25 anni di servizio mi ritrovo precaria a riscaldare il posto ad altri che forse saranno stabilizzati al posto mio. Perché  la Regione ha assunto i nostri  colleghi,  precari come noi, e gli enti locali non ci stabilizzano?  Il nostro contratto scade a dicembre. Perché solo per noi si sbandiera l’arma dei concorsi? E non vorremmo ritrovarci domani a cedere  i nostri posti  ai dipendenti delle ex province smantellate”. 

Davide Cannone, 43 anni, di Catania, puliziere in un aeroporto. “Siamo mosche bianche. Nel nostro settore del pulimento moltissimi non arrivano alle 14 ore settimanali, il minimo contrattuale. Le gare continuano a essere aggiudicate tutte al massimo ribasso.  E anche chi lavora sette ore al giorno percepisce stipendi che non consentono di campare una famiglia.  Non basta avere un lavoro: guadagnare 300 euro al mese significa  essere privati della dignità. Così non siamo persone libere”. 

Carlo Inzerillo, 47 anni, lavoratore stagionale presso Ente sviluppo agricolo (Esa): “Noi stagionali siamo precari per eccellenza, operai a tempo determinato che lavorano solo per un certo numero di giorni l’anno. Chiedo di essere stabilizzato. Io, che ho 27 anni di servizio, e che lavoro dal 1989, sono anagraficamente il più giovane degli stagionali dell’Esa. L’età media è 58 anni.  Non chiedo  un lavoro fine a se stesso, non vogliamo che la gente ci consideri un esercito di assistiti: chiediamo un lavoro utile, che sia visibile alla collettività. Quest’anno dovremmo effettuare  189 giorni di lavoro e finora ne abbiamo fatti solo 40. Prima  mi occupavo di moto aratura, spietramento, e della realizzazione di laghetti collinari per le aziende.   Oggi invece il nuovo assessore ci sta impiegando per la viabilità rurale”.

Marcello Bologna, 48 anni, operaio agricolo stagionale dall’87, “settantottista”. “Oggi faccio un lavoro senza un futuro. Con 78 giornate  di lavoro in un anno non si mantiene una famiglia. E’ vero, ci sono gli ammortizzatori sociali in agricoltura, ma non è sufficiente. La Regione anziché stabilizzarci continua a fare tagli alle indennità previste nel nostro contratto. Ci mandano a lavorare nelle montagne. Ma se dalla paga di 60 euro giornaliere  tagliano l’indennità chilometrica, cosa ci resta?”.