Non è semplicemente un concerto, quello previsto nella serata di oggi (26 gennaio) all’Auditorium Parco della Musica di Roma. Tutto ciò che mi resta. Il miracolo della musica composta nei lager, questo il titolo (www.tuttociochemiresta.it), potrebbe essere considerato appunto come un “miracolo”. Lo stesso miracolo avvenuto al tempo della Shoah, quando la tragedia che si stava consumando nei lager non impedì il fiorire della musica, del linguaggio universale per eccellenza: una sorta di testamento spirituale, frutto dell’ingegno di artisti le cui opere, solo quelle, sono riuscite a sopravvivere.

A poco serve, però, ricordare: quelle note vanno suonate e fatte rivivere. “Solo così piangere e commemorare ha un senso”, spiega il professor Francesco Lotoro, pianista ebreo di Barletta, da vent’anni impegnato a raccogliere e trascrivere la produzione musicale dei campi di concentramento nazisti – dai primi, del ’33, ai luoghi dello sterminio negli anni della guerra –. E infatti, per la prima volta, o quasi, una piccola ma significativa parte delle opere ritrovate viene eseguita, come si diceva, all’Auditorium Parco della Musica, alla vigilia del Giorno della memoria, e settant’anni dopo la liberazione del campo di Auschwitz, in un evento che si svolge sotto l’Alto patronato del Presidente della Repubblica. I biglietti per il concerto, curato da Lotoro, sono andati tutti esauriti in pochissimi giorni. Sul palco, con la partecipazione straordinaria di Ute Lemper, brani che attendevano solo di essere riportati alla luce, a raccontare l’orrore degli internati ma anche la speranza che l’incubo finisse.

Lotoro parla della produzione di “oltre mille musicisti che ebbero il coraggio di ideare opere, arie e componimenti vergati su pezzi di carta, scoperti presso qualche antiquario o in polverose soffitte, dietro i quali si nascondono storie di vita”. “Sono cinquemila fino a questo momento le opere raccolte – prosegue – e, sicuramente, per ogni partitura che ho per le mani almeno altre due le ho perse”. Questo per dare l’idea di quanto materiale sia sparso per il mondo e conservato chissà dove.

Tutto è cominciato dalla necessità di reperire informazioni su una suonata. “C’era poco o niente in giro e lì compresi che bisognava darsi da fare, sentivo l’urgenza di mettere insieme materiali sui quali ancora non esisteva una ricerca complessiva. Indagini parziali non erano mancate, non c’era però un autentico lavoro di archiviazione, catalogazione e promozione concertistica della musica scritta. Della musica degli ebrei ma non solo”.

È stato pubblicato in tal modo due anni fa il primo volume di un’enciclopedia cartacea, il Thesaurus Musicae Concentrationariae: una fonte preziosa di documenti che raccoglie la vasta produzione di un’intera generazione di compositori, direttori d’orchestra, quartettisti e solisti di cui altrimenti non si sarebbe mai avuta notizia.

“Speravo di poter concludere tutto il mio lavoro in pochi anni invece ho dovuto rivedere i tempi. Conto di farcela entro il 2020. Nessuna sorpresa, la materia è tale e tanta che necessita di uno studio approfondito. Quello già edito sarà una sorta di ‘volume zero’ perché solo ora ho compreso che non posso pubblicare un testo all’anno: il precedente sarebbe parso sempre superato rispetto al successivo. Quindi compirò un unico sforzo editoriale”, confida.

A pesare sui tempi anche il fatto che la documentazione spesso giunge a Lotoro in lingue difficili da tradurre: serve l’aiuto di tutors ma questo ha un costo e i soldi sono davvero pochi. “Non godo di finanziamenti se non di quelli regionali. Grazie all’assessore al Mediterraneo Silvia Godelli sono riuscito a fare quello che ho fatto finora utilizzando fondi europei destinati alla cultura”.

Il musicista continua a coltivare il sogno di fondare
un centro studi. Magari nella sua città natale, Barletta, luogo da cui la ricerca è partita, o anche a Trani dove nel 2004, attorno alla sinagoga di Scolanova, si è ricostituita la Comunità ebraica pugliese.

Qualche volta la speranza lascia il posto allo scoramento, ma se potesse tornare indietro Lotoro rifarebbe esattamente tutto ciò che ha fatto stando solo un po’ più attento ai finanziamenti perché spesso, ammette, “ho dovuto rinunciare ad acquistare dagli antiquari materiale prezioso per la mia ricerca venduto poi chissà a chi”.

Per questo progetto il musicista pugliese sacrifica da anni ogni giorno se stesso; la sua aspirazione, però, non è lavorare in solitudine: “Vorrei che si potesse dire, invece, che un intero patrimonio è stato ricostruito grazie all’aiuto di tutti. Non si tratta di un patrimonio mio, ma dell’umanità. Per questo mi dispiace scontrarmi talvolta col disinteresse della gente”.

Lotoro spera di vedere completata la sua ricerca – un’indagine che va oltre la Shoah e guarda anche alle realtà concentrazionarie di altri paesi nell’immediato dopoguerra – e che un giorno le musiche ritrovate possano essere eseguite integralmente. Parte del suo sogno si avvera nel “miracolo” di questa sera sul palco dell’Auditorium di Roma.