“Non sono stato fuori dal Paese per nove anni, ci sono stato molto dentro e ho cercato di seguirlo non solo attraverso i canali istituzionali e l'esercizio dei poteri che la Costituzione mi conferiva, ma attraverso il massimo contatto possibile con tutte le espressioni vive della società. Quindi avendo lasciato il Quirinale ho ritrovato il paese che avevo seguito ed è un paese con dei problemi molto seri perché possiamo pur dire che sono via via venuti accavallandosi e quasi esplodendo problemi che ci siamo trascinati dietro per alcuni decenni. Ci sono molti nodi venuti al pettine, difficoltà di padroneggiarli e ristabilire delle priorità, però si trattano di nodi ineludibili”. Lo ha detto il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano, nell'intervista curata dal giornalista Rai Gerardo Greco e proiettata in apertura delle Giornate del Lavoro della Cgil a Firenze.

“Il sindacato - ha continuato Napolitano - ha sofferto moltissimo delle conseguenze della crisi globale, ha sofferto molto perché chi ha pagato il prezzo maggiore di questa crisi è stato il mondo del lavoro e non è stato facile per i sindacati difenderlo. Uso questo verbo, perché naturalmente è compito del sindacato difendere gli interessi dei lavoratori e difendere il lavoro in quanto tale. L'espressione posti di lavoro può piacere, può apparire superata, ma difendere chi ha un lavoro, lo ha perso, rischia di perderlo, lo cerca e non lo trova. Credo che il sindacato abbia finito per essere un po' schiacciato sulla difensiva e questo a mio avviso è un punto serio di riflessione”.

“Cè sempre stato da chiedersi in che misura il sindacato poteva non solo rappresentare i lavoratori occupati – ha spiegato il presidente emerito - , ma anche i senza lavoro, gli aspiranti al lavoro. E una ricetta non si è ancora trovata. La chiave può essere soltanto nella capacità del sindacato di affrontare dal suo punto di vista i problemi generali dello sviluppo dell'economia e della società. Il sindacato italiano ha una grande tradizione di impegno e di ruolo effettivo sui problemi generali dello sviluppo dell'economia e della società. Se si può definire questo un ruolo politico, in senso lato, il sindacato diventa un soggetto politico. Non in senso stretto partitico o in sostituzione dei partiti, ma è qualcosa di molto tipico della storia del sindacalismo italiano”.

Secondo il presidente, il sindacato oggi è molto combattivo nel difendere le conquiste del passato “e questo è un limite. Il mondo cambia e cambiano anche gli obiettivi in materia di diritti e di tutela. Perché abbiamo anche nel passato preso delle cantonate quando abbiamo pensato che una conquista era irrinunciabile. Quindi bisogna anche avere una grande sensibilità, apertura a cogliere quello che c'è di mutato, di più difendibile, di rinnovato. Perciò ho considerato interessante l'idea di lavorare ad un nuovo statuto dei diritti dei lavoratori. E' qualcosa di più convincente della difesa statica o in blocco dello statuto dei diritti dei lavoratori quale era”.

Per fare ciò
, però, “è indispensabile un dialogo serio tra il governo e i sindacati. Non ho giudizi su come sia stato tentato questo dialogo o su come e perché non sia riuscito in certi momenti e certe questioni come il Jobs act. Cosa diversa è pensare che sia possibile un ritorno a vere e proprie forme di concertazione. La concertazione ha avuto un posto d'onore anche nella storia delle relazioni sociali in Italia, quindi guai ad usare toni sprezzanti”. Però, “sono cambiate tante cose, anche le esigenze dei tempi per le decisioni”. In ogni caso, “il dialogo deve essere serio tra entrambe le parti, senza pregiudiziali, diffidenze o ostilità. Mi permetto di dirlo a tutti, anche al governo. E' mancato un clima di dialogo.”

“Non possiamo farci facili illusioni, - ha continuato Napolitano - è molto importante evitare la retorica. Io non ho nessuna difficoltà a dire che la causa numero uno per cui battersi è il lavoro, e anche a sposare la formula, che può apparire desueta, 'piena occupazione'. E' una formula che compare nei trattati europei, perché è stato anche un ideale tendenziale. E il diritto al lavoro, poi, figuriamoci. Ci siamo spesi per decenni sul dettato costituzionale di diritto al lavoro. Però bisogna fare i conti con la realtà, e la realtà è un mondo radicalmente cambiato, il problema del lavoro è cambiato. E' cambiato tutto: come creare lavoro, investimenti che producano occupazione, quale occupazione, come deve cambiare la domanda di lavoro, oltre a stimolare l'offerta”.

Un cambiamento non sempre in positivo, come nel caso dei migranti. “In Italia – ha aggiunto Napolitano - si sono logorati i valori di solidarietà, in qualche modo ritorna anche la questione dell'unità nazionale dello stato, perché un presidente di un Regione non può dare direttive ai prefetti e ai sindaci in tema di immigrazione. C'è molto disordina anche istituzionale. La solidarietà si è logorata perché abbiamo avuto in larga parte dell'opinione pubblica una regressione dei valori. E questo è indubbio. Quindi c'è bisogno di un ritorno forte al senso della solidarietà che deve valere in tutta Europa, non solo in Italia”.

E questo vale anche per quanto riguarda le politiche di austerità
. “Certamente abbiamo esagerato o sono state politiche tendenzialmente indiscriminate. Perché c'è chi ne ha sofferto di più e chi ne ha sofferto di meno o poco. Abbiamo avuto il dato gravissimo dell'allargamento dell'area della povertà e delle disuguaglianze, che è un grande tema mondiale, ma anche italiano, e non scindibile dal tema del lavoro. La prima e fondamentale disuguaglianza è non garantire a molti, se non a tutti, il lavoro. Non bisogna però perdere di vista il fatto che il debito accumulato non ce lo toglie nessuno dalle spalle, e dobbiamo continuare a fare i conti con questo tallone d'Achille della nostra realtà”.

Napolitano, ha poi concluso con una nota di speranza. “Ci sono esempi di una solidarietà che non si è spenta, seppure assediata da posizioni che la negano – ha detto - . Non lo dico per retorica, ma ho molta fiducia nelle generazioni più giovani, che possano ripartire da capo nell'opera di rinnovamento della politica, delle istituzioni e della società”.