(Da Il Mese di dicembre 2008) Dunque la paura è tornata. Neanche il tempo di “respirare” un po’ per il vento di novità portato da Obama che anche l’India ha dovuto subire il suo 11 settembre. L’attacco è arrivato dal mare anziché dal cielo, ma il senso di vulnerabilità terrorizzata che ha prodotto è sempre lo stesso e la sua onda non si è arrestata a un continente, se è vero che in Italia la Lega ha chiesto di sospendere a tempo indeterminato la costruzione di nuove moschee. E così ancora una volta il terrore sembra mescolarsi a paure altrettanto gravi: la crisi economica, la povertà, l’ambiente che stiamo inesorabilmente dissipando senza coscienza alcuna. Sui temi connessi alla paura Il Mese ha dedicato un approfondimento nel numero dello scorso luglio, con una lunga intervista a Zygmunt Bauman. Questa volta abbiamo deciso di ascoltare un altro insigne pensatore, Michael Walzer, tra i massimi filosofi politici statunitensi.

“La paura – dice Walzer – è certamente un tema generale della vita politica di un paese e sospetto che lo sia sempre stato. Ma assume molte forme, alcune altamente specifiche. Il terrore che si prova verso i terroristi islamisti radicali, per intenderci, secondo me non ha nulla a che fare con la paura profonda, come dice lei, dell’altro. In questo caso a spaventarci è un gruppo di persone che vogliono ucciderci e che questo loro intento lo proclamano esplicitamente. Si tratta dunque di una paura interamente razionale: sarebbe assurdo, in circostanze simili, non provare timori di questo tipo.

Il Mese Tuttavia non potrà negare che questa paura viene spesso strumentalizzata ideologicamente.

Walzer Certamente i politici demagogici sfruttano le paure per ottenere potere. Però è anche vero che chi viene eletto democraticamente ha il vincolo morale di attenersi alle nostre paure, almeno a quelle razionali. Chi governa deve difendere la sicurezza fisica dei propri elettori. Per quanto riguarda la paura profonda dell’altro, siamo davvero sicuri che sia così profonda? Non si trova, piuttosto, alla superficie della vita sociale? E l’alterità, poi, non è una questione relativa, facilmente modificabile, specialmente in una società di antica immigrazione come gli Stati Uniti? Certo, il processo non è semplice, però capita costantemente di rendersi conto che le persone che un tempo erano radicalmente “altre” ci sono ora molto vicine, magari hanno sposato i nostri figli.

Il Mese In ogni caso non si può non notare che la percezione dell’insicurezza è in crescita. Un aspetto di questo fenomeno è la crescente ostilità nei confronti degli immigrati e degli stranieri. C’è una responsabilità politica in questo trasferimento d’incertezze private (per esempio la difficoltà a pagare il mutuo o a trovare un buon lavoro) su nemici esterni?

Walzer Quando si parla di questi temi non bisogna mai dimenticare che gli Stati Uniti sono una società di migranti, pertanto una politica anti-immigrazione è sempre rischiosa per chi la pratica. Ai politici occorre il sostegno dell’ultimo gruppo di immigrati che sono diventati americani e dunque possono votare. Molti di noi ricordano bene i politici che hanno cercato di “tener fuori” i nostri genitori o i nostri nonni: non aiuteremo certo i loro omologhi contemporanei a fare altrettanto con qualcun altro. È vero però che tentativi di trasferire il disagio per le difficoltà economiche interne su nemici esterni vengono operati regolarmente ma, almeno qui negli Usa, non hanno mai funzionato. Non ancora, almeno. Certo, se le condizioni economiche dovessero peggiorare ulteriormente questa possibilità c’è. Tuttavia, nonostante già ora il contesto non sia dei migliori, non mi pare di registrare accuse o colpevolizzazioni nei confronti degli “altri”. Ci sono certamente forze fortemente anti-immigrazione nel partito repubblicano, ma chi si candida per incarichi istituzionali non può assumere posizioni troppo dure contro l’immigrazione per paura di perdere il sostegno ispanico o asiatico. Come dicevo prima, gli immigrati naturalizzati, che hanno conquistato il diritto di voto recentemente, sono la migliore protezione contro l’ostilità verso i nuovi arrivati.

Il Mese E questo che lei dice indica probabilmente possibili evoluzioni in questo senso in paesi di recente immigrazione come l’Italia. In sintesi, dunque, qual è l’equilibrio tra la strumentalizzazione delle paure e la giusta risposta ad esse?

Walzer Riassumerei così. Se è vero che i politici tendono a sfruttare sempre le paure del proprio elettorato, allo stesso tempo, però, sono costretti a rispondere ad esse, indicando le modalità con cui affrontare ciò che le persone temono. Molti americani sono spaventati da questa nuova vulnerabilità economica: dalla minaccia di perdere il posto di lavoro, dai debiti che crescono, dall’aumento dei costi della sanità, dall’erosione delle pensioni, e così via. Si tratta di paure razionali, e non vedo come i politici possano evitare di discutere dei problemi reali che li coinvolgono.

Il Mese Le paure sono le stesse tra le diverse classi sociali?

Walzer Se a minacciarci è il terrorismo, allora siamo tutti uguali e uniti. Sugli aerei dirottati l’11 settembre sono morti insieme sia i passeggeri della business class che quelli che viaggiavano in economy. Stessa cosa vale per gli attentati successivi. Tuttavia, com’è ovvio, i ricchi e la gran parte di chi appartiene alla classe medioalta sono più protetti dall’impatto dell’alterità radicale, a partire dagli ambienti in cui generalmente vivono. Le paure di tutti gli altri sono sempre concrete, seppure non necessariamente realistiche: perdita di posti di lavoro, affollamento delle città, aumento della criminalità e via dicendo.

Il Mese Nei suoi ultimi saggi, lei si è concentrato sul multiculturalismo, insistendo sul fatto che l’istruzione può favorire la cittadinanza democratica in un contesto multiculturale. In che modo?

Walzer Credo di essere un multiculturalista “morbido”: non penso, infatti, che i diversi gruppi religiosi e culturali esistenti in una società democratica debbano avere confini distinti e netti. Mi aspetto e auspico, invece, un grande movimento al di là delle linee di confine, con molte identità confuse e appartenenze sovrapposte. Detto questo, per me l’ideale sarebbe che la maggior parte dei bambini frequentasse le scuole pubbliche, che garantiscono mescolanza religiosa ed etnica; in questo tipo di scuole, tutti dovrebbero studiare la storia e la letteratura degli altri “gruppi” e, allo stesso tempo, apprendere le differenze e le modalità della coesistenza tra diversi. È qui che si impara una comune educazione civica e, quindi, il significato della cittadinanza, la storia della democrazia (e delle battaglie condotte per il suffragio universale e la libertà di parola) e le pratiche costituzionali del proprio paese. Temo che i bambini che frequentano scuole religiose private non imparino molto sugli altri, e tuttavia alle loro scuole andrebbe imposto di offrire la medesima preparazione civica. In mancanza di questo requisito, non dovrebbe sussistere alcun finanziamento statale e nessuna licenza per le scuole private.

Il Mese Nel suo Sfere di giustizia (Laterza, 2008), come pure in molti altri suoi lavori, lei ha discusso del rapporto che intercorre tra moralità e politica. L’incontro con l’Altro è decisamente una sfida da questo punto di vista: potrebbe spiegare come pluralismo e uguaglianza siano fattori interconnessi in grado di aiutare la nostra società globalizzata?

Walzer La disuguaglianza sociale viene prodotta sempre a due livelli. Al primo c’è il libero mercato; poiché è davvero libero, produce ineguaglianza tra gli individui: alcuni hanno successo, altri falliscono; alcuni salgono, altri cadono. Noi possiamo (se vogliamo) controllare questo tipo di disuguaglianza attraverso il potere d’associazione (il movimento sindacale) e attraverso le tasse e il Welfare (cioè con un’azione redistributiva). Esiste, però, una disuguaglianza più profonda, a cui è più difficile porre rimedio, e che nasce in funzione dell’appartenenza di gruppo e dello svantaggio collettivo: inizia con l’infanzia e si rinforza attraverso pratiche educative discriminatorie, con il razzismo, i pregiudizi religiosi e il sessismo in ogni aspetto della vita sociale. Se vogliamo controllare questo tipo di disuguaglianza, non possiamo solo redistribuire la ricchezza, ma dobbiamo dare potere ai gruppi, rafforzare la vivacità interna delle comunità stigmatizzate e l’efficacia delle loro organizzazioni; dobbiamo dare loro una possibilità per conquistarsi insieme il proprio spazio e recuperare il proprio orgoglio. Ma, in quanto democratico liberal, penso che noi dobbiamo anche aiutare le persone che si trovano in questi gruppi svantaggiati a fuggirne, se lo vogliono, a entrare nell’economia e nel sistema politico come individui e a trovare la propria strada. Un egualitarismo genuino richiede di impegnarsi contemporaneamente per il pluralismo e l’individualismo. Ho sempre pensato che la politica di una sinistra degna del suo nome debba essere complessa.