(Da Il Mese di febbraio) Di là dal filo del telefono la voce arriva secca, quasi tagliente. Almeno un tono o due più su di quella che ti aspetteresti da un uomo di 80 anni. Il professore sta lavorando, è assorto. Ma si distende subito quando poni domande su temi che gli sono assai cari: le paure dell’uomo moderno e dell’ebreo – antico e moderno –, l’uso strumentale della religione, la guerra, il ruolo delle identità sempre più complesse eppure immancabilmente banalizzate nel tritacarne di tanta pubblicistica prêt-à-porter. Amos Luzzatto, medico e biblista, intellettuale a tutto tondo e per anni presidente dell’Ucei (l’Unione delle comunità ebraiche italiane), ha scritto recentemente almeno due libri esemplari. Il primo è Il posto degli ebrei (Einaudi, 2003) una lezione magistrale che incrocia la storia del popolo ebraico con un’idea alta della tolleranza e dell’integrazione. L’altro, l’ultimo, si chiama Conta e racconta. Memorie di un ebreo di sinistra (Mursia, 2008), un’autobiografia appassionata in cui Luzzatto si dichiara di sinistra, ebreo ed europeo: “L’Europa ha avuto la filosofia, il teatro, l’arte, la matematica e la scienza - scrive -. E voglio e devo capire perché ha avuto anche le Crociate, l’Inquisizione, i roghi, la tratta degli schiavi dall’Africa, il nazismo”. “Sono domande – dice al Mese – alle quali ancora, purtroppo, non ho trovato risposte”.

Il Mese Tuttavia, se è vero che la paura, il terrore sono come lei scrive tratti distintivi della storia europea e del mondo occidentale, è altrettanto vero che in particolare il nuovo millennio è iniziato sotto il segno della paura verso l’altro, il diverso, che via via può essere il musulmano, l’ebreo, lo zingaro, il romeno. Cosa si nasconde secondo lei dietro questi sentimenti?

Luzzatto Se mi permette, vorrei fare un appunto al modo in cui mi pone questa domanda. Lei la formula come se la paura nascesse spontaneamente e non fosse indotta da un certo modo di educare e di formare l’opinione pubblica. Io non credo che la paura sia sempre – e neanche nella maggioranza dei casi – un sentimento primario e primitivo. Generalmente essa viene alimentata per almeno due motivi. Il primo è banalmente e puramente sadico: c’è chi gode nel generare terrore negli altri. Il secondo motivo è più importante: la paura serve per creare il mostro e dargli addosso. Il mostro è utile perché vi si possono indirizzare i risentimenti, le avversioni e il dolore per i torti subiti. Il mostro può servire per orientare le legittime rivalse verso qualcuno o qualcosa che con quella particolare paura non hanno niente a che fare.

Il Mese Perché lo straniero?

Luzzatto Mi lasci dire qualcosa sull’uomo “dalla pelle scura”. Ancora quando ero bambino la minaccia alla quale più spesso ricorrevano gli adulti era: “Stai attento altrimenti viene l’uomo nero che ti porta via”. Nella minaccia contava molto il colore della pelle, il nero, che è il colore della morte, del lutto e della notte. E la notte è il regno dell’indistinto, il momento in cui non si vede bene quello che succede intorno a noi.

Il Mese Secondo lei la religione ha un ruolo forte nel fomentare le paure dell’uomo moderno e i presunti scontri di civiltà o il suo peso è stato sopravvalutato?

Luzzatto Non c’è dubbio che la religione venga spesso strumentalizzata. Se alle religioni si può imputare una colpa, questa è quella di confrontarsi a volte con un atteggiamento di superiorità nei confronti delle altre credenze. Affermazioni, purtroppo molto frequenti, del tipo, “La mia religione è più umana e caritatevole della tua”, alimentano paura e diffidenza verso gli altri. Le assicuro: c’è ancora chi crede nel cosiddetto sacrificio rituale ebraico, secondo il quale gli ebrei sgozzerebbero bambini cristiani utilizzandone il sangue per confezionare le azzime per la festa pasquale. In questi casi la paura è alimentata ad arte sulla base di mitologie folli e serve per discriminare e indicare gli ebrei al pubblico ludibrio.

Il Mese Ne Il posto degli ebrei si insiste sull’importanza dell’integrazione, che lei distingue nettamente dall’assimilazione. L’idea forte che emerge dal libro è che la convivenza tra i diversi è possibile a patto che non si calchi troppo sulle identità, o meglio che si considerino le identità nella loro complessità e mutevolezza nel tempo. Perché le persone, le culture, le tradizioni cambiano…

Luzzatto In qualsiasi gruppo, non solo religioso ma pure nazionale, linguistico e anche professionale, l’identità è un elemento dinamico, non statico. Quello che non si può e non si deve fare - e che invece molti strumentalmente fanno – è assumere una fase tra le più discusse nella storia di una particolare tradizione religiosa e generalizzarla fino a farla diventare l’identità per antonomasia di quel gruppo. Queste operazioni non solo generano paure, ma le rendono insormontabili e permanenti.

Il Mese La paura è un tratto costitutivo della storia del popolo ebraico e della formazione dello Stato di Israele. Che segno lascia ancora oggi, secondo lei, in un ebreo?

Luzzatto Un ebreo purtroppo oggi constata che i motivi che hanno generato le sue paure ataviche non sono ancora scomparsi. Le dichiarazioni dello scorso mese del vescovo negazionista lefebvriano, monsignor Williamson, ne sono un esempio emblematico, tanto più grave per i ritardi del Vaticano nell’assumere una posizione di netta condanna. Cosa può pensare un ebreo quando vede che, ancora una volta, nel terzo millennio, si arrivano a sostenere queste posizioni? Vede, tempo fa mi sono rivolto ad alcuni negazionisti. Ho detto loro: “Ammettiamo pure che i vostri calcoli sui forni crematori e sulle camere a gas di Auschwitz siano esatti. Ebbene: prima della guerra in Polonia c’erano tre milioni di ebrei, dove sono andati a finire, visto che oggi ne sono rimasti qualche migliaia o poco più? Nessuno mi ha mai risposto perché non c’è risposta. Si sa benissimo che non tutti gli ebrei sono morti ad Auschwitz: ne sono stati ammazzati a migliaia nei villaggi, nelle fosse comuni, bruciati nelle case e nelle sinagoghe. Fare operazioni di ragioneria sul massacro vuol dire sostenere che questi tre milioni ci sono ancora. E allora con queste parole ci si macchia ancora una volta del loro sangue. Li si uccide di nuovo.

Il Mese Passiamo all’attualità e al conflitto arabo-israeliano. Recentemente David Grossman ha detto una frase molto bella: “Solo il contagio tra le sofferenze può fruttare la pace”. Perché questo non è ancora accaduto? Perché il dolore e la paura non hanno unito i due diversi popoli?

Luzzatto Non sono d’accordo sul fatto che questo non avvenga. In Israele esistono organizzazioni di genitori che nel conflitto hanno perso i propri figli, dall’una e dall’altra parte, e che hanno stretto amicizia e si ritrovano per portare consolazione gli uni agli altri. Ci sono israeliani che vanno a prendere i palestinesi ai posti di blocco e trattano con i soldati per facilitarne il passaggio. Potrei continuare con tanti di questi esempi, ma nessuno ne parla, perché non fanno notizia. Fanno più effetto le bombe, i kamikaze o le dichiarazioni del presidente iraniano. Ma, mi creda, il mondo arabo-ebraico non è solo questo.

Il Mese A questo punto mi sembra ineludibile un suo giudizio sui fatti di Gaza.

Luzzatto Il mio giudizio è netto. Io credo che il problema israelopalestinese sia un problema politico, collegato a una questione politica molto più estesa che riguarda il Medio Oriente e la sua strumentalizzazione da parte di forze che gli sono estranee. Come tale può risolversi solo con la politica e non con la guerra. Ribaltando von Klausewitz direi che la guerra è il fallimento della politica. Nessuna guerra ha mai risolto i problemi della politica né tanto meno quelli del Medio Oriente, a partire dal conflitto del ’48, quando non sono stati sufficienti gli eserciti di cinque Stati arabi per cancellare il neonato Stato d’Israele. Il conflitto israelopalestinese si risolve trovando una forma di convivenza civile e produttiva fra popolazioni ebraiche e arabe. Ripeto: il problema è politico e deve essere posto e risolto in termini politici. E la paura che oggi domina nel Medio Oriente deve far posto a un confronto razionale.