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“Non ci siamo. Sembra che il tema del caporalato, dello sfruttamento di uomini e donne, delle mafie che si arricchiscono sulle spalle del sistema agroalimentare italiano, del danno all’erario, all’Inps che tutto questo comporta, sia questione che interessa solo il sindacato. Ravvisiamo lentezze e ritardi inspiegabili circa l’applicazione di norme e azioni di contrasto. Quasi che non ci sia la volontà politica”. È l’affondo alle istituzioni portato da Ivana Galli, segretario generale della Flai Cgil, nel corso della conferenza stampa organizzata questa mattina (14 marzo) a Bari per illustrare le proposte del sindacato che a partire dalla Puglia “aggrediscano quel sistema illegale che lucra soprattutto sugli operai agricoli stranieri, offrendo loro un pacchetto completo fatto di intermediazione con le aziende, accoglienza, trasporto. Se non si affrontano questi tre nodi, se non proviamo a dare subito delle risposte, non toglieremo potere ai caporali”.
Bene sgomberare i ghetti ma non basta
Oltre 250mila aziende, un valore record dell’esportazione nel 2016 pari a 632 milioni di euro con un +6% rispetto al 2015; 190mila lavoratori regolari, quelli iscritti negli elenchi Inps, di cui 43mila stranieri, la metà di loro impiegata nelle campagne del foggiano. È questo un quadro di sintesi del settore agroalimentare pugliese, “tutt’altro che militarizzato, con una presenza oppressiva dello Stato, come lamentano le imprese”, evidenzia Antonio Gagliardi, segretario generale della Flai regionale. “Al 30 settembre 2016 le attività ispettive avevano interessato solo 1.600 aziende, con tassi di irregolarità in media oltre il 60 per cento”. “Se pensiamo che 25mila operai agricoli stranieri – gli fa eco Mario Fraccascia, coordinatore regionale del Patronato Inca – non raggiungono le 51 giornate, quasi sempre perché non denunciate, e quindi non hanno accesso a senza strumenti di sostegno al reddito, si intuisce quanto sia grosso il fenomeno dell’illegalità e quanto bisogno di tutela collettiva e individuale c’è. In questo senso di concerto con la Flai lavoreremo a sportelli itineranti di assistenza e informazione, soprattutto nei periodi di maggior afflusso di lavoratori stranieri, che sono le figure più fragili”. Condizioni di debolezza e illegalità che sono all’origine della nascita e proliferazione dei ghetti, “che vanno smantellati tutti, perché di questi insediamenti spontanei, degradati, insicuri, dove è facile perdere la vita, ne abbiamo censiti circa 50 nella regione”, ricorda Pino Gesmundo, segretario generale della Cgil Puglia. “E allora bene le ruspe, bene indignarsi, ma poi occorre mettere a sistema quelle azioni che svincolano migliaia di uomini e donne dal ricatto criminale che agisce proprio su lavoro, su trasporto, un tetto qualunque esso sia”.
Più presenza dello Stato, meno caporali
Proposte di intervento, quelle che arrivano da Cgil e Flai, con l’indicazione delle risorse per attuarle. “Per i trasporti, nel fondo europeo per lo sviluppo regionale vi sono 171 milioni. Una quota può essere indirizzata per l’attivazione di linee dedicate da e per i luoghi di lavori dai centri agricoli più importanti, soprattutto nei periodi delle grandi raccolte. Corse lunghe – spiega Gesmundo – se pensiamo alle lavoratrici del tarantino come Paola Clemente impegnate nella vendemmia nei campi del nord barese, ma anche più brevi, ricorrendo a pulmini che meglio possono affrontare alcune strade di campagna non asfaltate”. Per l’incontro tra domande e offerta di lavoro, “sempre la Regione ha una dotazione a valere sul fondo sociale europeo di 142,5 milioni. Pensiamo di possa intervenire sugli operatori dei centri per l’impiego, anche con adeguata formazione, per attivare servizi dedicati alle liste di prenotazione, un esperimento già perseguito in Puglia ma senza molta informazione, lasciato quasi nelle mani del solo sindacato. Elenchi di operai agricoli da dove sarà possibile assumere manodopera legalmente, per togliere alle imprese ogni alibi”. Infine il tema dell’accoglienza: “Va detto che se si rispettassero i contratti, forse la gran parte di questi lavoratori avrebbe il reddito necessario per trovare autonomamente una soluzione abitativa, pagando un fitto per un periodo breve o lungo. Ma non basta: allora si proceda con urgenza a un censimento di tutti gli immobili pubblici, edifici rurali o demaniali da allestire a luoghi di accoglienza dignitosa e assistita. Vi è un fondo della Regione Puglia di 500mila euro quale incentivo per le imprese che si si fanno carico di accogliere i lavoratori. Così come dei 13 milioni di euro per il piano regionale per le politiche abitative, una parte può essere destinata ad azioni che favoriscano il fitto per cittadini stranieri. Infine, nell’ultimo decreto immigrazione, vi sono le risorse per allestire ‘campi di ospitalità’, utili ad affrontare l’ondata di stagionali nei periodi estivi”.
Le norme ci sono, ora vanno applicate
Proposte che vanno nella direzione di quanto già previsto dalla legge 199/2016 e dal Protocollo sperimentale sottoscritto a maggio dello scorso anno con i ministeri dell’Agricoltura, dell’Interno e del Lavoro. “C’è poco da inventarsi – sottolinea Ivana Galli – perché per quanto si voglia far passare la legge di contrasto al caporalato come repressiva e punitiva per le imprese, la stessa nella seconda parte indica proprio le azioni per uscire da questo sistema illegale. Così come non vanno bene i voucher, non va bene dire che le imprese senza dipendenti possono utilizzarli, perché in agricoltura sono il 60%. E non va bene che solo in agricoltura il voucher non vale dieci euro ma è parametrato al salario, quindi circa 6 euro l’ora”. Parla di idee fantasiose che si leggono sui giornali, Ivana Galli, “quando c’è solo da applicare le norme che esistono, e mi chiedo perché non lo si faccia. Perché non si sono fatti i bandi previsti dal Protocollo sperimentale, che stanziava 10 milioni di euro per interventi proprio sui tre assi di cui parliamo: trasporto, lavoro, accoglienza. Come mai le Prefetture delle sette province indicate come obiettivo non hanno messo in moto la macchina organizzativa?”. Il tempo stringe, “perché quel protocollo ha una scadenza che è dicembre 2017. E intanto un’altra stagione di raccolta del pomodoro è alle porte, oltre cinquemila lavoratori stagionali arriveranno in questa regione, che è stata laboratorio nella lotta e nelle proposte, per questo siamo qui oggi”. Non c’è molto tempo, conclude la segretaria generale della Flai Cgil, “e se non si interviene subito, soprattutto sul versante dell’accoglienza, noi con le mani in mani non staremo, siamo pronti a mobilitarci. Le istituzioni sono avvisate”.