Un paese ancora in forte difficoltà, che cerca di risalire la china, ma che continua a fare i conti con troppe disuguaglianze. E' quanto emerge dal rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile (Bes) presentato dall'Istat. Si tratta del secondo rapporto di questo genere, basato su alcuni criteri individuati dal Cnel e dall'Istituto di statistica. Sotto la lente dei ricercatori, in questo caso, finiscono non solo la salute, l'istruzione e formazione, ma anche il lavoro e il benessere economico, oltre che le relazioni sociali, la politica e istituzioni, la sicurezza, l'ambiente, e la qualità dei servizi nelle città italiane.

Le diseguaglianze innanzitutto segnano una forte dicotomia tra Centro-Nord e Mezzogiorno che caratterizza il Paese. “Differenziali negativi si osservano, come era da attendersi, rispetto al reddito, alle condizioni materiali di vita e all’occupazione ma toccano anche elementi significativi in altri domini del Bes”, si legge. Le differenze riguardano infatti anche la speranza di vita e i livelli di scolarizzazione, la conservazione del patrimonio edilizio, la ricerca e l'innovazione, oltre che la diffusione del non profit e la dotazione e fruizione di servizi come quelli culturali o per la prima infanzia.

Ma non si tratta solo di disuguaglianze su base territoriale, squilibri si registrano anche in ambito sociale e per fasce di età. Il benessere economico delle famiglie, ad esempio, risulta in aumento, ma con forti differenze soprattutto al Sud. Secondo il documento, aumentano il reddito disponibile (dello 0,7% nel 2013 e dello 0,1% nel 2014), e il potere d'acquisto, cresce la spesa per i consumi e sempre meno famiglie mettono in atto strategie per contenere la spesa. Anche se il rischio di povertà e la povertà assoluta sono in diminuzione, segnala il rapporto, cresce la quota di individui che vivono in famiglie che hanno intensità lavorativa molto bassa, cioé dove le persone hanno lavorato meno del 20% del potenziale, arrivata al 12,1%. "Il Mezzogiorno - si legge - oltre ad avere un reddito medio disponibile decisamente più basso del Nord e del Centro, ha anche la più accentuata disuguaglianza reddituale: il reddito posseduto dal 20% della popolazione con i redditi più alti é 6,7 volte quello posseduto dal 20% con redditi più bassi, mentre nel Nord il rapporto é di 4,6".

Malgrado i primi segnali favorevoli della congiuntura economica, poi, rimangono comunque elevati gli storici divari che caratterizzano il mercato del lavoro italiano. La quota di persone di età 20-64 anni occupate in Italia sale al 59,9% nel 2014 (+0,2 punti percentuali rispetto al 2013), ma la distanza con l'Europa continua ad aumentare. La ripresa nel Paese è avvenuta, infatti, a ritmi meno accentuati in confronto ai principali paesi europei. Positiva risulta comunque la diminuzione della percezione della paura di perdere l'occupazione e l'elevata soddisfazione per il proprio lavoro. Quest'ultima, seconod il Bes, rimane stabile con quasi la metà degli occupati che si ritiene molto soddisfatta. Importante è anche il segnale della diminuzione delle differenze tra i tassi di occupazione delle donne con figli e senza figli, anche se, soprattutto per quante hanno basso titolo di studio e per le straniere, i problemi di conciliazione restano molto forti.

La qualità del lavoro, peggiorata negli ultimi anni, migliora però solo per alcuni aspetti. L'indicatore relativo alla permanenza in lavori instabili diminuisce leggermente - dal 20,3% del 2013 al 19,8% del 2014 - quello sulla permanenza in occupazioni poco remunerate è pressoché stabile - dal 10,4% del 2013 al 10,5% del 2014. Aumenta però la quota di occupati sovraistruiti - dal 21,9% del 2013 al 23% del 2014 - e in part time involontario - dall' 11% del 2013 all' 11,7% del 2014. L'Italia, tra l'altro, continua a caratterizzarsi in Europa per la forte esclusione dei giovani dal mercato del lavoro, a fronte della continua crescita del tasso di occupazione degli ultracinquantacinquenni. Sebbene l' allungamento dei percorsi formativi ritardi l'ingresso nel mondo del lavoro, la diminuzione del tasso di occupazione per i giovani dipende soprattutto dalla difficoltà a trovare un impiego, specie se continuativo nel tempo. La condizione dei giovani è aggravata da una peggiore qualità del lavoro e da una maggiore paura di perderlo. Aumenta inoltre lo svantaggio del Mezzogiorno, l'unica area territoriale, dove l' occupazione diminuisce anche nel 2014 (tasso di occupazione al 45,3%) e dove è più bassa la qualità del lavoro.

In sostanza, afferma l'Istat nel suo rapporto, gli anni di crisi economica hanno acuito le caratteristiche già critiche del mercato del lavoro italiano e aumentato le disuguaglianze territoriali. Il divario più forte si riscontra per la quota di giovani che non studiano e non lavorano (Neet) che si attesta, nel 2011, al 31,4% nel Mezzogiorno rispetto al 15,2% del Nord e al 19,2% del Centro. Ma le differenze rimagono sotanziali anche per quanto rihguarda l'istruzione, la salute, la gestoine del territorio e la qualità dei servizi.