Negare il bonus bebé a chi è sprovvisto della Carta di soggiorno per lungosoggiornanti è discriminatorio e in contrasto con le direttive europee. È quanto ha stabilito il tribunale di Bergamo accogliendo ancora una volta le ragioni di Inca e Cgil, che hanno vinto una class action in favore di 20 genitori immigrati con un titolo di soggiorno di breve durata, ai quali l’Inps aveva rifiutato il beneficio economico.

Per l’ennesima volta, quindi, l’istituto previdenziale è stato condannato a corrispondere loro l’assegno di natalità, smentendo la sua interpretazione restrittiva della norma, finora applicata, secondo la quale il diritto è limitato a coloro che sono in possesso della carta di soggiorno per lungo soggiornanti.

Non è la prima volta che il tribunale bergamasco si pronuncia in tal senso; già nell’aprile scorso aveva emanato una sentenza pilota su un caso singolo, ma questa volta il risultato è ancor più clamoroso perché riguarda un ricorso collettivo di 20 immigrati, provenienti da Albania, Tunisia, Marocco, Egitto, Moldavia, Ucraina, Burkina Faso, Bolivia, Nigeria, Pakistan e Georgia. “Come patronato – spiega Claudio Piccinini, coordinatore degli Uffici immigrazione dell’Inca – abbiamo già vinto molte cause e altre ne verranno, fino a quando non sarà recepito da Inps un principio estensivo, sufficientemente supportato da un orientamento comunitario ben consolidato, secondo il quale non si può negare l’accesso alle prestazioni di welfare a stranieri regolarmente presenti in Italia, che lavorano e pagano le tasse come gli altri”.

Un concetto tanto semplice, quanto difficile da digerire per l’Inps che preferisce arrivare in giudizio piuttosto che applicare correttamente il diritto comunitario. “Un comportamento di arroganza inaccettabile – aggiunge Piccinini - che per fortuna si interrompe con queste sentenze. “I fatti sono pacifici – si legge nel dispositivo –. Il mancato riconoscimento dell’assegno ha carattere discriminatorio (…). Per gerarchia delle fonti la legge nazionale va disapplicata”.

Per il giudice di Bergamo, quindi, “subordinare il riconoscimento ai figli di extracomunitari con permesso di lungo periodo crea una disparità di trattamento fra italiani e stranieri nel caso in cui questi ultimi siano anche lavoratori (…) viola la direttiva che non prevede possibilità di deroghe alla rigorosa parità di trattamento con i cittadini degli Stati membri in cui soggiornano”.

Secondo la sentenza, quindi, il parametro fondamentale resta “la legalità del soggiorno”,nonché, come ha precisato la Corte Costituzionale, il “suo carattere non episodico né occasionale”. Soddisfazione è stata espressa da Annalisa Colombo, della Cgil: “È un provvedimento che crea un precedente da far valere in cause simili per altre prestazioni assistenziali”. “Questi immigrati – ha aggiunto - sono integrati e lavorano e sarebbero rimasti esclusi dal bonus bebè solo per una ragione reddituale. Il titolo di soggiorno a lunga durata è concesso solo a chi guadagna oltre una certa soglia”.