La nuova governance economica europea (Neeg) prende le mosse, nel 2010, dall’adozione della strategia Europa 2020, con l’introduzione del Semestre europeo, un più stringente coordinamento delle politiche economiche e di bilancio europee su ciclo annuale. Nell’arco di pochi anni, ciò si è tradotto in un mutamento radicale dell’intervento pubblico a livello continentale e nazionale in tutta l’Ue e nei paesi dell’eurozona in particolare.

Disegno e finalità della Neeg appaiono estremamente controversi, e per varie ragioni. In particolare, per l’enfasi che essa ripone sulle riforme strutturali del mercato del lavoro e della contrattazione collettiva. Pur non avendone chiara titolarità istituzionale, l’inedito interventismo comunitario sui temi del salario e della contrattazione collettiva – perseguito con modalità e procedimenti anomali rispetto al metodo normativo definito nei Trattati – ha provocato un autentico terremoto sui sistemi delle relazioni industriali di numerosi paesi. Specie quelli periferici, più duramente colpiti dalla crisi di questi anni. Non ci si è voluti limitare alla prescrizione di alcuni obiettivi relativi alla dinamica retributiva secondo gli schemi di una politica dei redditi, ma si è inteso operare più radicalmente sui sistemi negoziali, stravolgendone assetti e livelli gerarchici, a vantaggio di una sostanziale aziendalizzazione, flessibile, nella determinazione dei salari. Un decentramento già in atto da anni, ma che attraverso il sistema delle Raccomandazioni specifiche rivolte ai diversi paesi (quando non anche dei famigerati Memorandum della Troika), realizza un autentico salto qualitativo, volto a rendere del tutto residuale il ruolo e il peso della contrattazione multi-datoriale, fin qui prevalente in buona parte dell’Europa continentale.

Ciò specificato, ogni valutazione riguardo alla nuova governance economica europea deve tenere nel debito conto gli sviluppi specifici e l’impatto della sua implementazione a livello nazionale. Questa premessa è stato il punto di partenza del progetto europeo di ricerca Gocoba, che ha analizzato le ricadute della Neeg in sei paesi: Bulgaria, Francia, Grecia, Italia, Portogallo e Spagna. Il progetto è stato realizzato da cinque istituti legati ad altrettanti sindacati nazionali (fra cui l’italiana Associazione Bruno Trentin), con il coordinamento della spagnola Fundación 1º de Mayo. Dalla ricerca si apprende che, in generale, il combinato disposto fra il crollo dei maggiori indicatori economici dovuto alla crisi e le politiche di austerità, con il loro corollario in termini di riforme nazionali, hanno provocato ovunque un forte – per quanto differenziato – impatto sugli assetti della contrattazione collettiva.

Più precisamente: 1) la dinamica contrattuale nel settore privato è notevolmente peggiorata. Ciò è dimostrato dal declino nel numero di contratti collettivi, nonché dal crollo in alcuni paesi dove era previsto, delle procedure amministrative di estensione della loro efficacia. Con riflessi sul grado complessivo di copertura. 2) Il decentramento contrattuale è stato accelerato mediante un duplice processo: da un lato, la crescita nel numero di accordi aziendali e il concomitante declino di quelli settoriali; dall’altro, una crescita significativa dei casi di derogabilità dei contratti settoriali a opera di quelli aziendali, agevolati da una nuova disciplina legale in materia diritto del lavoro. 3) I sindacati hanno denunciato come tali riforme, imposte dalla Neeg, abbiano provocato un radicale mutamento verso il consolidamento di un modello autoritario di relazioni industriali, che esalta la decisione unilaterale del datore nella gestione dei rapporti di lavoro come cardine del nuovo diritto del lavoro, erodendo i diritti di informazione, consultazione e negoziazione. 4) Le crisi dei bilanci e le severe misure prescritte per ridurle, hanno causato gravi ripercussioni sulle dinamiche retributive – oltre che occupazionali – nel settore pubblico, fra congelamenti prolungati e veri e propri tagli. 5) Le misure di austerità e le riforme strutturali del mercato del lavoro hanno indotto una sostanziale svalutazione interna, basata su una spirale discendente dei salari. Questo trend ha avuto conseguenze negative sia a livello macroeconomico, dovuto al calo dei redditi e dei consumi, sia a livello microeconomico, dovuto all’effetto cumulativo sulla domanda aggregata, foriera del rischio attuale di deflazione.

Contro questa deriva, dallo studio emergono due proposte centrali: a) la necessità di salvaguardare il ruolo primario della contrattazione multi-datoriale nella regolazione dei mercati del lavoro dei paesi europei; b) il rafforzamento del coordinamento e dell’articolazione, a vari livelli, della contrattazione collettiva. Solo così sarà possibile favorire un equo rapporto fra la richiesta di una maggiore flessibilità a livello aziendale e il mantenimento di standard comuni di trattamento definiti a livello di contratti settoriali e multi-settoriali.

* Fundación 1º de Mayo
** Associazione Bruno Trentin