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Giovani, sottopagati e sottoinquadrati, precari e ricattati: questa la fotografia che emerge dal nono rapporto sulle condizioni dei lavoratori stranieri impiegati nel settore delle costruzioni, che sarà presentata oggi dalla Fillea e dalla Fondazione Di Vittorio in occasione dell’undicesima assemblea nazionale dei lavoratori stranieri della categoria delle costruzioni Cgil, al Centro congressi Frentani di Roma, che sarà conclusa da Vera Lamonica, componente della segreteria nazionale della confederazione.
Nelle costruzioni la presenza dei lavoratori stranieri è strutturale e storica, soprattutto nel comparto dell’edilizia: il 17% dell’intera forza lavoro del settore, con punte che in alcuni territori superano il 50%. In tutto, 250 mila lavoratori (50 mila in meno del dato pre-crisi) che, insieme agli altri immigrati presenti in Italia – 5 milioni in totale –, producono il 9% della ricchezza italiana, 123 miliardi di Pil, 20 circa solo le costruzioni. Escludendo ovviamente il lavoro nero, stimato dalla Fillea in almeno 300 mila “fantasmi", che sfuggono a ogni statistica e a ogni tutela, ma non certo a quell'economia sommersa che vale il 12% del Pil nazionale.
Nonostante una presenza così strutturata dei lavoratori stranieri, quello delle costruzioni continua a essere un mercato del lavoro duale, in cui gli immigrati sono vittime di segregazione occupazionale, discriminazione, ricatto. Senza contare la dequalificazione e il sottoinquadramento, come dimostrano i dati delle Casse edili, da cui si apprende che il 55% dei lavoratori stranieri ha la qualifica di operaio comune, contro il 28% degli italiani; mentre gli specializzati stranieri sono il 13%, a fronte del 36,5% italiano.
“Si tratta di un andamento che di anno in anno continua a peggiorare – spiega Walter Schiavella, segretario generale della Fillea nazionale –, confermando il sottoinquadramento come uno degli strumenti preferiti dalle imprese per comprimere i costi del lavoro senza eccessivi rischi. Tre lavoratori inquadrati al primo livello corrispondono più o meno al costo di due operai specializzati: se facciamo qualche conto possiamo dire che ogni anno spariscono centinaia di milioni di euro di contributi. Otto anni di crisi, a cui si sono aggiunti gli interventi dei governi – mirati solo alla deregolamentazione –, hanno fatto proliferare meccanismi come questo, o come il finto part time o le false partite Iva o i distacchi comunitari”.
Nella Fillea i lavoratori stranieri rappresentano il 24% degli iscritti (sono in tutto 76 mila): maggiore la presenza nelle regioni del Centro-Nord, con punte che raggiungono il 40% nel Lazio e in Liguria, mentre tra le regioni meridionali svetta l’Abruzzo, con il 26,6%. E parlano straniero anche tanti delegati e funzionari, provenienti soprattutto dall’Europa dell’Est, dall’Africa e dal Sud America. Le loro storie sono per tanti versi “esemplari”: da quella di chi è arrivato vent’anni fa per caso o per studiare (ora con nazionalità italiana) a quella di chi in Italia è arrivato da clandestino, su barconi o treni della speranza. Poi la fame, il lavoro nero, il ricatto e le violenze dei caporali. La prima busta paga e quel permesso di soggiorno costati sangue e fatica. E infine l’incontro con il sindacato, che ha cambiato la loro vita. E che sta cambiando la vita del sindacato.
Sono sempre loro, il piccolo drappello di funzionari migranti, i protagonisti di un altro report che sarà presentato oggi dalla Fillea, focalizzato sul loro ruolo nella federazione di categoria, che sicuramente consegna agli edili della Cgil importanti spunti di riflessione. Età media 42 anni, in Italia da almeno tre lustri, titoli di studio prevalenti alti e medio-alti: questo il profilo medio dei sindacalisti stranieri coinvolti nell’indagine, illustrata da Emanuele Galossi, della Fondazione Di Vittorio. Che racconta: “Dalle interviste risulta che le maggiori difficoltà incontrate nel rapporto con il sindacato e con i lavoratori sono state la poca conoscenza dei temi sindacali, la diffidenza da parte dei lavoratori italiani nei confronti del sindacalista straniero e la difficoltà nella comunicazione per via della lingua, gap su cui però il sindacato è intervenuto con un forte impegno in progetti di formazione”.
Da parte degli intervistati c’è soddisfazione riguardo al proprio percorso all’interno del sindacato, ma “per più della metà di loro – prosegue Galossi – occorre che il sindacato faccia di più, dimostri più coraggio. Più funzionari immigrati, più coinvolgimento nelle scelte, più contatto diretto con i lavoratori e i disoccupati, anche sperimentando nuove forme di rappresentanza e di lotta”. Richieste che trovano conferma e sostegno nelle parole del segretario generale della categoria: “Più giovani e migranti sono i lavoratori, più giovane e migrante deve essere il sindacato che li rappresenta – conclude Schiavella –. Ma su questo occorre un impegno di tutto il sindacato, servono scelte concrete e coerenti che accompagnino e favoriscano il ricambio generazionale, dobbiamo rinnovare le forme della nostra azione e quelle della nostra comunicazione con i lavoratori. Il contributo dei nuovi funzionari – penso ai migranti, ai giovani, alle donne – in questo sarà determinante".