La guerra dei numeri sembra essere cominciata e il lavoro, com’era prevedibile, non può che essere il campo di battaglia naturale. Questo governo si è fortemente caratterizzato per i provvedimenti di ulteriore flessibilizzazione e precarizzazione dell’occupazione, sostenendo che per questa via si sarebbe registrata la ripresa, favorita sia dall’attrazione di investimenti esteri che dalla domanda interna stimolata dal bonus di 80 euro. Era quindi prevedibile che anche il più piccolo segno positivo sarebbe stato utilizzato a conferma della giustezza di quelle politiche. Diventa quasi naturale in questo contesto, per chi ha criticato quei provvedimenti, essere più cauto nella lettura dei numeri, soprattutto se i dati di dicembre dei quali stiamo parlando sono addirittura precedenti al varo dei provvedimenti del governo.



Ciascuno fa il suo mestiere
e questo è giusto in una società democratica e articolata per ruoli e interessi. Ma poiché parliamo di dati, sarebbe bene metterci d’accordo su quali sono gli obiettivi che sarebbe giusto perseguire e cercare di realizzare e decidere tra i tanti numeri che circolano quali utilizzare e perché. Facciamo intanto una premessa: si stanno verificando contemporaneamente tre fattori che concorreranno senza dubbio alla crescita del Pil. La decisione della Bce di emettere liquidità acquistando titoli sul mercato, sicuramente attenuerà il peso degli interessi sul debito pubblico; ne conseguirà una svalutazione dell’euro che si è già manifestata al primo annuncio e ciò favorirà le esportazioni dei prodotti oltre l’area euro; la fortissima diminuzione del prezzo del petrolio, conseguente alla lotta tra i produttori basata su un’offerta in eccesso rispetto a una domanda che risente della crisi, abbatterà i costi sia dei trasporti dei beni prodotti, sia dell’energia per produrli.

L’insieme di questi tre fattori non potrà che far scaturire un rialzo della produzione. Le dimensioni che il fenomeno assumerà in ciascun paese europeo non sono prevedibili, ma certamente ci saranno. Vedremo tra alcuni mesi se e di quanto aumenteranno la produzione, le esportazioni e il Pil e vedremo se in Italia gli effetti di questo choc esogeno saranno più o meno rilevanti rispetto a quelli che si registreranno in altri paesi che non hanno adottato le politiche di austerità e flessibilizzazione del nostro paese. Intanto, cominciamo a ragionare sui dati sul lavoro resi noti dall’Istat e sui quali già si sono manifestate letture diverse.

L’operazione che cercheremo di fare è di non cadere nella trappola della lettura a margherita, secondo la quale ciascuno sceglie tra i tanti dati disponibili i petali che più si prestano a sostenere le proprie tesi. Abbiamo costruito, perciò, un set di indicatori che ci sembrano i più adatti a cogliere le diverse facce del fenomeno occupazione. E abbiamo scelto di fare confronti che hanno una loro solidità teorica – l’ultimo dato rispetto a quello medio dei tre mesi precedenti – e di affiancare a ciascun dato quello ante crisi del 2007, in modo da ricordare sempre dove eravamo e dove, quantomeno, dovremmo cercare di tornare.

I DATI MENSILI

Al primo posto abbiamo collocato l’indicatore più importante, il tasso di occupazione, perché la percentuale di persone occupate rispetto al totale delle persone in età lavorativa è il dato più significativo, sia per i confronti nel tempo che per quelli tra diverse aree territoriali e tra paesi diversi. A dicembre, come si vede nella tabella che pubblichiamo, il tasso di occupazione medio è passato da 55,6 a 55,7, ma quello giovanile è addirittura diminuito (da 15,6 a 15,4) e quello femminile è rimasto costante. Se passiamo ai numeri assoluti gli occupati sono aumentati di 40.000 unità, i giovani occupati sono addirittura diminuiti di 13.000, le donne di 18.000. Insomma, numeri troppo piccoli perché si possa parlare di successi delle politiche o di inversione di tendenza. Solo nei prossimi mesi sarà possibile dire se i tre fattori di ripresa di cui abbiamo parlato produrranno effetti anche sul lavoro. E sarà possibile verificare con i dati trimestrali, che sono più significativi e offrono un maggiore dettaglio, cosa succede nel confronto con gli altri paesi e nelle diverse aree del paese, che, non dimentichiamolo, sono state colpite tutte dalla crisi, ma diversamente l’una dall’altra.