“Il modello della precarietà è nemico del lavoro cognitivo. L'idea di società della conoscenza non può stare col considerare il lavoratore 'usa e getta'. Verso i lavoratori cognitivi la strada, nella contrattazione inclusiva, è sperimentare nuove forme, e soprattutto ascoltare e costruire capacità di relazione e traduzione”. Lo ha detto Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, alla chiusura dei lavori del convegno “Lavoro Conoscenza Sindacato. Una ricerca tra i lavoratori cognitivi”, che ha avuto luogo stamani a Bologna presso la sede del Comune a Palazzo d'Accursio, nella Cappella Farnese.

Il convegno ha illustrato i risultati emersi  dalla ricerca sul campo, condotta congiuntamente dai tre istituti di ricerca Ires di Emilia-Romagna, Toscana e Veneto e offerta al sindacato come base di riflessione sulle nuove rappresentanze, sui lavoratori cognitivi: docenti, giornalisti, architetti, ingegneri, chi si occupa di formazione, ricercatori, informatici, chi lavora nel mondo dello spettacolo, e altri. Il percorso esplorativo ha previsto una prima fase durante la quale sono state condotte più di cento interviste individuali a figure considerate tipiche del lavoro cognitivo: i temi toccati sono stati percorsi formativi, competenze, condizioni e organizzazione del lavoro, rapporto tra tempo di vita e tempo di lavoro, facendo emergere conflittualità, contraddizioni e aspettative.

I risultati di questa prima tranche del lavoro sono serviti per mettere a punto un questionario, pubblicato on-line (sul sito elaborazione.org), destinato a tutti coloro che ritenevano di appartenere alla schiera dei lavoratori cognitivi, senza limitazioni. Cinquanta domande con un tempo di risposta variabile tra i quindici e i venti minuti. Per rendere nota l’iniziativa si è utilizzato lo strumento dei social media (Twitter e Facebook, “Elaborazione”). Circa mille persone hanno partecipato al questionario, da tutta Italia.

I RISULTATI

“Lavori con la conoscenza? Ti occupi di innovazione? Sei un/a programmatore/rice informatico/a, o un/a ricercatore/rice, o un/a addetto/a stampa? Sei un cervello in fuga? Sei un/a professionista? Ti occupi di ricerca? Sei un/a creativo/a? Lavori nel mondo dello spettacolo? Ti occupi di cultura? La tua attività ha a che fare con la comunicazione? Se la risposta a almeno una di queste domande è sì, compila il questionario e aiutaci a definire cos’è il lavoro cognitivo”: così diceva l'intestazione che apriva la compilazione del questionario online, da cui emerge che i lavoratori cognitivi amano il lavoro che fanno, aggiornano continuamente a proprie spese la loro competenza, ma il prezzo da pagare è un’eterna precarietà. E se il lavoro è ancora considerato il principale ambito di riconoscimento sociale, solo il 27,7% rinuncerebbe all’attività che corrisponde alle sue passioni in cambio di un'occupazione sicura non aderente ai proprio desideri. Senza contare che il 67,7% di coloro che ha un contratto a termine sostiene di non sapere cosa accadrà alla scadenza, l’1,3% lavora con la prospettiva di ottenere un contratto a tempo indeterminato, il 7,7% spera in un rinnovo alle stesse condizioni. Cosa fare? Il 60% vorrebbe più sostegni dallo Stato, il 40% dal sindacato (Qui i risultati completi dello studio).

GLI INTERVENTI

“Quando si è sotto attacco si tende a difendere e conservare, ma in questo momento è il caso di difendere i diritti esistenti e contrattaccare su nuovi modelli di contrattazione”, ha detto Emanuele Berretti (Ires Toscana) prendendo spunto dall'intervento di Camusso. Oltre a lui, sono intervenuti al convegno Cesare Minghini (Ires Emilia Romagna), Vladimiro Soli (Ires Veneto), dirigenti sindacali delle tre regioni, lavoratrici e lavoratori cognitivi, studenti, studiosi tra cui Vando Borghi (Università di Bologna) e Pippo Russo (Università di Firenze).