Sarà, dal punto di vista delle rivendicazioni sindacali, un autunno complicato e all’insegna del conflitto. Ce lo sentiamo ripetere come un mantra, ormai quasi ogni giorno, dagli opinionisti della carta stampata e dei talk show televisivi. Una previsione esagerata? Niente affatto, piuttosto la presa d’atto di un dialogo sociale ridotto ormai ai minimi termini.

La verità è che le campagne di mobilitazione da tempo annunciate dai sindacati – dal fisco alla previdenza, dal lavoro pubblico alla scuola, all’industria, al Fiscal compact, all’articolo 18 –, così come la manifestazione nazionale prevista dalla Cgil con l’intento di “far conoscere al paese” le difficoltà in cui versano il mondo del lavoro e i pensionati, sono la risposta (ineluttabile) alle scelte di politica economica adottate a oggi dal governo, impegnato – praticamente fin dal giorno del suo insediamento a Palazzo Chigi – nell’approvazione di una serie di provvedimenti che nel migliore dei casi non contribuiranno affatto a sollevare – ma presumibilmente cambieranno in peggio – le condizioni materiali delle persone, privi come sono di misure che abbiano carattere di contrasto alla crisi, così come di investimenti in grado di prospettare una soluzione vera al dramma dell’occupazione.

Il presidente del Consiglio, assieme ai suoi ministri economici, fa un uso ormai quasi spregiudicato di quella stessa strategia degli annunci che aveva caratterizzato la premiership di Berlusconi e quella di Monti; annunci continui che fanno prevedere tagli consistenti ai servizi alla persona, un’ulteriore precarizzazione del lavoro e l’indebolimento dei diritti, come si evince dalla discussione in Senato intorno al Jobs Act.

Una cosa è certa. Se si vuole uscire dal pantano in cui il paese è da anni sprofondato (solo per citare i dati dell’occupazione, l’ultima tendenza positiva l’abbiamo avuta nel 2008) bisogna darsi una mossa: non si può pensare di uscire dalla deflazione e dalla stagnazione ancora con misure di svalutazione del lavoro. Per cambiare verso seriamente, è necessario investire in settori ad alta competitività e che guardino all’innovazione. Nella sostanza, il cuore dell’articolata proposta contenuta nel Piano del lavoro messo a punto dalla Cgil, presentato ufficialmente in occasione della Conferenza di programma nel gennaio 2013, rilanciato all’ultimo congresso e i cui contenuti, non certo casualmente, saranno al centro delle iniziative di protesta delle prossime settimane.