PHOTO
È caldo l'autunno che si prospetta per i riders. Se entro fine settembre i rappresentanti degli oltre 15 mila fattorini operanti sul territorio nazionale non avranno garanzie e risposte dalle piattaforme digitali per cui lavorano, come Foodora, Deliveroo, Just Eat o Glovo, ricomincerà la mobilitazione. Prima a Bologna, ormai cuore del movimento per i diritti dei riders, poi a livello nazionale. Con tappa poi in ottobre a Bruxelles con la prima grande assemblea europea, per far rete con tutti gli addetti alle consegne a domicilio. Ma andiamo con ordine. Ai fattorini che in bici o in scooter fanno consegne a domicilio tramite piattaforme digitali e non si applica dal 18 luglio 2018 il contratto nazionale della logistica. L’accordo stabilisce una cornice di diritti chiari, tutele salariali, assicurative e previdenziali tipiche del rapporto di lavoro subordinato. Al contrario di quanto sostenuto dal Tribunale di Torino che, qualche mese prima, aveva respinto il ricorso di sei fattorini contro Foodora, dichiarandoli lavoratori autonomi.
Il problema è quindi la definizione del rapporto di lavoro tra i riders e le piattaforme digitali. Un lavoro considerato dipendente dall’accordo per l’esistenza di un compenso orario minimo; ma per adesso la maggior parte è retribuita in base al risultato, come accade per gli autonomi. Un compenso orario implica un tempo prestabilito durante il quale il datore di lavoro può controllare e sanzionare l’esecuzione mancata o inesatta. Ma, per quanto i lavoratori siano monitorati tramite app e richiamati se sono troppo lenti, ciò non basta a ritenerli lavoratori subordinati, quindi estranei alle tutele previste. Regole e opportunità non mancano e sono in continua evoluzione. La gig economy, l’economia dei lavori on demand, si basa sull’idea di lavorare quando e per quanto si vuole. Ma il bisogno spinge spesso molti riders a essere di continuo a disposizione del datore di lavoro e la sotto-posizione alla piattaforma è pressante; il rischio è che questa flessibilità non sia reale, rendendo i lavori troppo flessibili più penalizzati dall’algoritmo.
L'accordo è un passo importante, che però deve fare i conti con le nuove realtà lavorative della gig economy. E anche con quello che succede sulle strade, come la morte di Maurizio Cammillini a Pisa il 6 settembre: l'incidente sarebbe stato causato da un eccesso di velocità per non perdere pochi euro dovuti alle penali sul ritardo della consegna. L'ennesimo infortunio, stavolta mortale, ha reso ancora più urgente la necessità di un reale miglioramento delle condizioni di lavoro. Oltre ai sindacati di settore, in prima linea è scesa la Riders Union Bologna, collettivo ben strutturato, tra i firmatari a giugno della “Carta dei diritti fondamentali del lavoro digitale nel contesto urbano”, primo accordo territoriale metropolitano europeo sulla gig economy. Tra gli altri firmatari ci sono il Comune di Bologna e i segretari di Cgil, Cisl e Uil. Riders Union Bologna sta partecipando anche ai tavoli di lavoro al Mise voluti dal ministro Di Maio. Proprio nell'ultimo incontro del'11 settembre il ministero ha intimato alle piattaforme digitali di applicare la Carta di Bologna e garantire così diritti e un piano di tutele ben definite. E se le piattaforme non cederanno, scatterà la mobilitazione. L'obiettivo è la reale applicazione della Carta dei diritti del lavoro digitale firmata a Bologna e per ora condivisa solo da Sgnam e MyMenu, che insieme occupano solo circa 130-140 fattorini.
Soprattutto è urgente la necessità di fare rete con le altre realtà emergenti. Da più parti in Europa si stanno facendo strada esperienze di piattaforme possedute, gestite e controllate dai platform worker stessi. In Francia, la cooperativa CoopCycle mette a disposizione, solo per altre cooperative, un software gestionale open source per gestire ordini e consegne in bicicletta. A Bruxelles un gruppo di riders ha fondato Molenbike: usando l'app francese, la coop belga riesce a consegnare generi alimentari e non. Simile la realtà barcellonese di Mensakas, app gestita dai lavoratori, che funziona come quelle mainstream, ma con un profilo di eticità per i lavoratori. Presente e attiva nel nostro paese è Smart, che unisce oltre 1.500 soci e ha registrato per il 2017 un fatturato positivo di 2 milioni di euro. La gestione è semplice, grazie al sostentamento da parte dei soci che versano l’8,5% dei loro singoli incassi alla struttura, garantendo compensi mensili a ogni lavoratore anche in caso di difficoltà o di ritardi sulle fatture. Inoltre in moltissimi centri ci sono piccole realtà emergenti con un ottimo potenziale. Il lavoro dei fattorini non diventa così più “digitale”, ma è grazie alle stesse tecnologie che ottiene maggiori tutele e può diventare più stabile e duraturo. L’evoluzione tecnologica potrebbe migliorare e rendere più accessibili e diffusi i mezzi che ora stanno sperimentando i primi pionieri. Recuperando e svecchiando così anche le buone pratiche cooperative e sindacali.