Contrattazione e tutela dei diritti: non si arresta la mobilitazione unitaria dei sindacati. Così, l’11 aprile si terrà una manifestazione nazionale dei lavoratori delle Province, mentre il 18 l’iniziativa di protesta riguarderà il personale della conoscenza. Perché 6 anni di blocco dei rinnovi pubblici hanno causato danni gravissimi sul versante delle retribuzioni e anche dal punto di vista della riorganizzazione e dell’efficienza dei servizi.

Una situazione di stallo che, nella complessa stagione che si va delineando, non interessa solamente gli statali, ma che allo stesso tempo, e nonostante la sua pesantezza, negli ultimi giorni ha conosciuto – alleggerendo non poco il clima delle tormentate relazioni nei settori privati – una parziale inversione di tendenza. Prima l’accordo integrativo alla Novartis di Varese, dove la multinazionale farmaceutica ha formalizzato la sua volontà di non ricorrere alle disposizioni del contratto a tutele crescenti. Poi le firme apposte ai contratti di lavoro dei bancari e del terziario, con clausole finalizzate ad arginare gli effetti della riforma del lavoro e a salvaguardare l’articolo 18 e con 85 euro di aumento (a fronte dei famosi 80 del bonus Renzi, diventati strutturali con l’ultima legge di stabilità).

Queste intese (ma a livello territoriale gli esempi potrebbero essere anche altri) testimoniano di come le associazioni datoriali siano nell’attuale fase assai più inclini al dialogo con le organizzazioni sindacali di quanto non faccia (non sia disposto a fare) il governo e dimostrano anche come l’autosufficienza politica – sul modello di quella pervicacemente perseguita dal premier Renzi – non funzioni; anzi: mettono più che mai in risalto la necessità di un concorso di soggetti che abbiano una finalizzazione di obiettivi.

E, del resto, che cosa insegnano più di ogni altra cosa i ccnl del credito e del commercio? Sostanzialmente, che quando si passa dalla propaganda al confronto sulle condizioni di lavoro di uomini e donne in carne e ossa non si può fare a meno di superare ostacoli e diversità, ricercando un punto di equilibrio. E che, con buona pace di chi ritiene che l’unica via della competizione sia quella della svalorizzazione del lavoro, c’è chi sostiene con altrettanta fermezza che non può esserci scambio possibile tra diritti e occupazione. Di qui il riconoscimento (condiviso) della centralità del contratto nazionale. Sempre di qui le scelte (condivise nei fatti) di individuare misure di contrasto alle strategie del rigore contenute nel Jobs Act.

Ci vuole così tanto per comprendere quanto siano in errore i non pochi sostenitori dell’inutilità della mediazione politica e sociale svolta dai corpi intermedi? Un punto di vista che, tra l’altro, non può contare nemmeno più sull’avallo teorico del Fondo monetario internazionale. Risale a pochi giorni fa infatti la pubblicazione su “Finance & Development” dei risultati di una ricerca secondo la quale “il declino della sindacalizzazione è fortemente associato all’aumento della quota di reddito in possesso dei più ricchi”. Insomma, anche secondo gli autorevoli economisti dell’Fmi, la presenza del sindacato è garanzia di risultati in termini di protezione economica molto migliori di qualsiasi altro strumento di natura legislativa o politica.