La risposta fornita dalla pronuncia in commento è che il reato di cui all’art. 640 c.p. si consuma al momento dell’incasso dell’assegno.
Finora, in giurisprudenza si era registrato un orientamento minoritario per il quale i requisiti della truffa, ossia gli artifici o i raggiri, devono essere valutati non appena l’assegno passa dalla sfera patrimoniale del truffato a quella del truffatore.
La giurisprudenza più recente, come quella qui in commento, invece, condivide la tesi per cui il danno della truffa non si realizza con la semplice emissione dell’assegno, “nel momento in cui il soggetto passivo assume l’obbligazione per effetto degli artifici o raggiri subiti, bensì in quello in cui si verifica l’effettivo conseguimento del bene economico da parte dell’agente e la definitiva perdita di esso da parte del raggirato…nel luogo in cui ha sede la banca trattaria, o filiale di essa presso cui è acceso il conto, in quanto è in tale luogo che avviene l’effettiva perdita patrimoniale del traente leso mediante l’imputazione a debito nel conto corrente della provvista del titolo”.
Solo con la contabilizzazione al passivo dell’importo portato dal titolo incassato si realizza materialmente la lesione patrimoniale del truffato.
In conclusione, prima di poter parlare della consumazione di una truffa, non basta che il titolo di credito sia stato emesso o preso, ma deve anche essere incassato.
Fino a quel momento, infatti, il soggetto che si sia reso conto degli artifici o dei raggiri subiti ha ancora la possibilità di evitare materialmente il danno bloccando la contabilizzazione dell’assegno versato sul suo conto.