Pubblichiamo una serie di nostri articoli "best of 2012", tra quelli che ci sono piaciuti di più o ci sono sembrati significativi.

“Ah, sei musicista... e che lavoro fai?”. La domanda che fa più male. Quella che non vorresti più sentire se di mestiere fai, appunto, il musicista. Ma anche quella che rende meglio l'idea di quanto questa nobilissima professione sia poco riconosciuta nel nostro Paese. Lo sa bene Sabina Morelli, 33 anni, che la musica la coltiva da quando ne aveva otto e oggi è una violinista, brava, ma precaria. D'altronde, Sabina non rappresenta di certo un'eccezione nel panorama dei musicisti italiani, visto che secondo i dati del Siam (Sindacato italiano artisti della musica) il 95% dei musicisti professionisti in Italia è rappresentato da lavoratori intermittenti. Ovvero, da precari che lavorano spesso in nero, non godono di alcuna tutela, non hanno il diritto di ammalarsi o di acquistare a rate, di accendere un mutuo o di fare figli. E una pensione, riforma o non riforma, non la vedranno mai.

Sabina, insomma, che lavoro fai?

Faccio la violinista precaria. Ormai l'aggettivo è parte integrante della risposta, visto che da quando ho iniziato è un continuo peregrinare in cerca di lavoro, passando da un'orchestra all'altra, da una città all'altra, anche all'estero. In Italia la vita del musicista è questa, una vita da nomadi, in cui sono impensabili normali relazioni sociali. E non è per niente facile.

Secondo te cosa non va in particolare?

E' il sistema che non funziona, a partire dalla formazione. In Italia se vuoi studiare musica lo devi fare di pomeriggio, al conservatorio, mentre la mattina fai un'altra scuola, i due percorsi sono completamente distaccati e non si tiene in nessun conto lo sforzo maggiore che lo studente è chiamato a fare. All'estero non è così, la musica è una materia che ha pari dignità e si studia la mattina insieme alle altre. Per di più, ora i miei dieci anni di conservatorio sono stati equiparati ad una laurea breve di tre anni. Non dico altro.

Poi arriva il momento di entrare nel “mercato del lavoro”...

E lì iniziano anche i dolori. Prima di tutto nessuno ti indirizza a fare master o scuole di specializzazione e men che meno a trovare un lavoro. Quindi le cose sono due: o si va per conoscenze e amicizie, all'italiana diciamo, oppure si fa come ho fatto io, si smette. Perché il panorama che ci si trova davanti può essere davvero desolante. E quello che ho trovato allora io, nella mia regione, l'Umbria, che da un punto di vista musicale non offriva nulla, lo era. L'unica prospettiva? Tirare a campare facendo quelle che noi in gergo chiamiamo significativamente “marchette”, ovvero suonando qua e là, rigorosamente in nero, spesso in condizioni poco consone (al freddo per esempio) e, soprattutto, senza gioia.




Ma davvero il nero è così diffuso nel vostro settore?

Il nero è la norma. Ti dicono “vieni a suonare tre giorni” e poi ti pagano 200 euro in contanti, nei casi fortunati la sera stessa, ma più spesso dopo sei mesi. Oppure, ti fanno un rimborso spese di 80 euro, sul quale comunque non si pagano le tasse, e poi il resto te lo danno in nero. Naturalmente senza alcuna garanzia, per cui se ti ammali, addio.

Verifiche, controlli?


Per esperienza personale dico: inesistenti. Da quando ho 15 anni e ho cominciato a suonare in questi contesti non ne è ho mai visto uno. Gli unici controlli rigorosi sono quelli della Siae sul diritto d'autore.

Quando descrivi questa situazione ti riferisci soltanto ad un contesto di piccole realtà locali, o no?

A dire il vero no. Ad esempio ho personalmente vissuto un'esperienza emblematica con un'orchestra italiana, diretta da un musicista di fama internazionale. Abbiamo suonato a Londra, alla Royal Albert Hall, e sono stata pagata 50 euro con ritenuta d'acconto e i restanti 200 (250 é il cachet standard di questa orchestra) in nero dopo due mesi.

Con tutto questo nero a livello pensionistico non devi essere messa bene...

Direi piuttosto che sono messa malissimo. Ho pochissimi contributi versati dalle poche orchestre stabili con cui ho lavorato, che sono le uniche che pagano regolarmente, anche se sempre con contratti precari di una, due settimane al massimo.

Ma torniamo al tuo percorso. Hai detto che, finiti gli studi, hai smesso di suonare. Quando e perché hai ricominciato?

Ho ricominciato a 25 anni, poco prima di laurearmi in Comunicazione internazionale. A farmi cambiare idea è stata un'esperienza bellissima, quella dell'Orchestra giovanile italiana nella quale suonava mia sorella. Lì ho ritrovato l'entusiasmo e la gioia di suonare che avevo perso. E così ho ripreso il mio percorso a ostacoli.

Come si cerca un lavoro da musicista?

Si fanno più audizioni e concorsi possibili nei teatri stabili, finanze permettendo, però, dato che ogni volta se ne vanno 200-300 euro per viaggio e alloggio. E poi, ormai i concorsi, grazie ai tagli del Governo Berlusconi, sono praticamente chiusi. Nel frattempo, in attesa di una chiamata, si studia, 6-7 ore al giorno. Tutto naturalmente a spese proprie e senza uno straccio di ammortizzatore sociale. Di recente ci hanno tolto anche la disoccupazione a requisiti ridotti. Evidentemente, nemmeno lo Stato ci considera lavoratori come gli altri.

Adesso stai lavorando?

Sì, ho un contratto di tre mesi più tre mesi al San Carlo di Napoli. E mi sembra di aver vinto al lotto, per sei mesi lavorerò nello stesso posto e con un contratto regolare. Vi pare poco?

(prima pubblicazione: 5 gennaio 2012)