Dedicato ai lavoratori della conoscenza che esercitano un’attività in proprio, il libro di Sergio Bologna e Dario Banfi, a metà tra una rassegna delle ricerche sul campo e la narrazione della loro vita quotidiana ripresa dai blog, descrive la condizione di chi per scelta o per necessità "campa sulla cessione a titolo oneroso delle sue competenze" essendo "letteralmente un mercenario". Si tratta di un mondo in crescita a partire dagli anni Ottanta per effetto della tecnologia, che permette di eleggere la rete come il proprio scenario di attività, e per effetto del "sistematico smantellamento di alcune sicurezze del lavoro salariato".

Una rapida carrellata tra Germania, Stati Uniti e Italia dimostra, infatti, come l’assetto economico produttivo di un paese e il grado di protezione dello stato sociale influiscano fortemente sul tipo di occupazione prevalente. In Italia, secondo i dati Isfol relativi al 2008, citati dagli autori, il lavoro autonomo di seconda generazione si aggira attorno ai 2,5-3 milioni di persone, risultando composto da 1,5 milione di partite Iva, da poco più di un milione di contratti di collaborazione o a progetto, e da una parte di quel milione di titolari di microimprese con uno o due dipendenti. Bologna e Banfi sostengono che, al di là della retorica, la spinta verso questa scelta non è tanto la libertà della condizione professionale quanto la ricerca di una maggiore autonomia nell’organizzazione del proprio lavoro e della propria vita (ma qui di enfasi sembra essercene ancora molta, a modesto parere di chi scrive, quando si fa riferimento a una futura "web class", libera di "entrare e uscire, di non perdere nulla nel cercare la verità dei fatti e reclamare diritti").

Per costruire una propria identità risultano superate e inservibili, una strada senza sbocco, le ideologie che hanno sostenuto la nascita degli ordini professionali, negli Usa e ancor più nel nostro paese. La ragione di fondo sta nel fatto che l’identità del professionista, costruita a suo tempo sul singolo ambito di attività e in contrapposizione con le altre professioni, rappresentava un modo per rispondere alla crisi della domanda con una limitazione dell’offerta. Oggi tutto questo non è possibile e neppure auspicabile, mentre al contrario vanno affermandosi nuove forme associative capaci di aggregare un mondo segnato finora dall’individualismo e dall’isolamento.

Motivata dal bisogno di socialità e dalla comune percezione del rischio, la ricerca di nuove modalità di aggregazione è finalizzata non solo a dotarsi di servizi comuni su questioni fiscali, previdenziali, normative e d’informazione sui mercati, ma anche al fine di dare vita a una comune identità tra figure lavorative con competenze specialistiche assai diverse tra loro, che condividono però lo stesso orizzonte lavorativo ed esistenziale. Già oggi si realizzano forme di coalizione nella rete attraverso sistemi aperti di condivisione del sapere e di scambio d’informazioni, manifestazioni di mutuo soccorso che andrebbero sviluppate prendendo le mosse dalle motivazioni che hanno dato origine al sindacalismo. Uno degli autori, Sergio Bologna, conosce a fondo la storia del movimento operaio ed è uno dei fondatori di "Acta" (Associazione tra i consulenti del terziario avanzato).

Questo non toglie che il giudizio espresso sul ruolo svolto oggi dal sindacato confederale sia tranchant e liquidatorio, dato che lo si accusa di aver barattato la stabilità d’impiego dei propri associati con la precarizzazione degli outsider. Pur riconoscendo che gli interessi dei lavoratori indipendenti e dipendenti siano gli stessi, il messaggio verso i lavoratori autonomi è drastico: non devono "aspettarsi la solidarietà di nessuno perché non si dà solidarietà ai fantasmi, agli invisibili".