Settanta anni fa la liberazione del campo di concentramento di Auschwitz fece luce sulla tragedia di tanti innocenti massacrati solo per la loro appartenenza a minoranze etniche, religiose o politiche. Con loro – non sono in molti, a tanti decenni di distanza da quegli avvenimenti, a esserne a conoscenza – furono sottoposti al programma di sterminio tantissime persone con disabilità. Si calcola che a partire dal 1939 – dunque ben prima della legge sulla sterilizzazione del 14 luglio 1933, con la quale prende ufficialmente il via, all’indomani dell’ascesa di Hitler al potere, l’orribile piano messo in atto dal governo nazista – e fino al 1945 furono all’incirca 200.000 i disabili “eliminati” in Germania.

Uomini e donne – moltissimi i bambini – affetti da patologie fisiche, mentali e sensoriali, considerati per questo parassiti non produttivi, erano dapprima censiti negli ospedali e, in seguito, trasferiti in ex caserme, penitenziari, case di cura, edifici isolati adattati appositamente per ucciderli. È ormai pienamente accertato che esperti ingegneri avevano allestito in questi luoghi le prime camere a gas funzionanti con l’utilizzo del monossido di carbonio e predisposto nelle vicinanze i necessari forni crematori.

Da quel 27 gennaio del 1945, giorno in cui i soldati sovietici superarono per la prima volta i cancelli del lager polacco, tanta acqua è passata sotto i ponti. A essere rimasta immutata – con tutte le differenze, ovvie, del caso – è tuttavia ancora oggi l’abitudine a perseverare in un atteggiamento culturale, professionale e lavorativo di segregazione delle persone con disabilità. La conferma purtroppo è data dai recenti dati che dimostrano che gli iscritti al collocamento obbligatorio nel nostro paese sono quasi 800.000. È proprio per discutere di questi temi che la Cgil ha organizzato il convegno “Vite da scarto. Disabilità e discriminazione tra passato e presente”, che si terrà oggi (28 ottobre) a Roma, dalle 9,30 alle 13,30, nella sede nazionale di corso d’Italia.

Abbiamo deciso di tenere il convegno nell’ambito delle iniziative di commemorazione del 70° anniversario della Liberazione del nostro paese dal nazismo e dal fascismo (qui la diretta streaming). Il sindacato, nei nostri anni, deve ritrovare nelle proprie radici quella funzione pedagogica e culturale capace di far leva sulle coscienze dei nostri iscritti e su tutti i lavoratori, promuovendo azioni culturalmente positive sulla tolleranza e il rispetto dell’alterità. Una funzione fondamentale: perché la tolleranza è una condizione necessaria nel vivere quotidiano.

La politica deve tornare a operare con generosità e – soprattutto – con serietà, difendendo la solidarietà e la giustizia sociale, muovendosi verso una società equa e giusta. Negli ultimi anni, invece, sono state ridotte drammaticamente le risorse economiche per l’assistenza, per la formazione, per il lavoro, riducendo per questa via i diritti per i più deboli. In questo senso, i tagli alla sanità per le persone con disabilità sono veri e propri atti di crudeltà: il governo ha deciso di ridurre le prestazioni per la riabilitazione e di chiudere i centri diurni, l’unico sostegno per le famiglie.

Ma non solo. Nel mercato del lavoro, il Jobs Act prevede che i datori di lavoro possano scegliere i disabili da collocare nelle proprie aziende. Un po’ come succede con il caporalato: nelle nostre piazze, ogni mattina, al Nord come al Sud, i reclutatori di manodopera a buon mercato scelgono i più vigorosi tra gli aspiranti lavoratori, emarginando i più deboli. Siamo arrivati a questo. Ma noi come Cgil ci battiamo – e ci batteremo – affinché questo sistema venga rivisto e perché quelle delle tante persone definite non autosufficienti non vengano più considerate “vite da scarto”, come dice il titolo del convegno di oggi, e si abbandoni per sempre quell’atteggiamento di “pseudo compassione” fortemente discriminante nei confronti dei disabili, in particolare intellettivi, psichici e pluriminorati.

* responsabile nazionale Politiche disabilità Cgil