La formazione in materia di salute e sicurezza non è sempre realizzata a regola d’arte, e il semplice fatto di essere proposta non alimenta automaticamente la cultura della prevenzione. È risaputo che tanta formazione è generica, pensata a tavolino, a prescindere sia dal confronto con Rls, Rlst, lavoratori e lavoratrici, sia dai bisogni formativi reali e contestuali ai luoghi di lavoro. Anche il termine “formazione” andrebbe ripensato: esclude un percorso di confronto, alludendo a una presenza di più soggetti in posizione distinta, quella di chi forma e di chi si fa formare, una attiva e l’altra passiva. Francamente non è questa una posizione desiderabile.

È dalle lotte degli anni sessanta e settanta, con il presidio dello Statuto dei diritti dei lavoratori, che salute e sicurezza sono entrate a pieno titolo tra gli obblighi della pratica quotidiana in tutti i luoghi di lavoro. I contratti negli anni hanno ampliato diritti e condizioni di salvaguardia della salute e sicurezza, anche accompagnando Rls e Rlst nell’espletamento delle loro funzioni, allargando prerogative ed estendendo lo sguardo verso i rischi più generali per le popolazioni esposte e per l’ambiente.

A questo proposito è interessante analizzare come incidono i diversi contratti e rapporti di lavoro sull’andamento di infortuni e malattie professionali. Da una lettura attenta si ricava che la mancata applicazione dei Ccnl e la progressiva precarizzazione li stanno aumentando. C’è da rabbrividire al pensiero di lavoratori e lavoratrici senza la protezione dell’art. 18, della possibilità di vantare la titolarità del proprio posto di lavoro, delimitando lo spazio alle prevaricazioni. Il che rende più cogente la necessità di diffondere e concretizzare la cultura della prevenzione e della sicurezza.

Oggi consideriamo che l’impegno in questa materia (e lo scontro, quando necessario) è divenuto molto difficile a causa di una svalutazione di portata storica del lavoro in generale, e del lavoro dipendente in particolare: svalutazione imposta dalla cultura dominante, dal sistema di informazione, dalla politica che nega le contraddizioni del presente. Ciò nonostante spetta a noi, al sindacato, alla Cgil, invertire una china che tende a sopprimere i diritti, contrastando una competitività vorticosa, di basso livello, foriera di declino generale della società.

Per farlo occorre indagare le esperienze, le condizioni del lavoro
. Ascoltare le sofferenze, individuare i livelli organizzativi e i meccanismi di oppressione, guardare alla prestazione nel suo concreto svolgersi, ai ritmi, agli orari, alle gerarchie. Il lavoro si dà in relazione, ed è la qualità delle relazioni lavorative e sociali il punto di leva essenziale per determinare quel capovolgimento che rimetta al centro gli esseri umani nella loro integrità psicofisica. Qui il ruolo di Rls e Rlst è centrale e può fare la differenza. Occorre riconoscerli per la generosità e per l’assunzione di responsabilità che manifestano nel coprire un ruolo non facile nel sistema di rappresentanza.

Contestualmente occorre sviluppare al meglio strategie coordinate di intervento fra tutti gli attori dell’istruzione e della formazione, integrando politiche educative e sociali e del lavoro, favorendo l’assunzione di corresponsabilità e collaborazioni per lo sviluppo di processi efficaci per la diffusione e il radicamento di una “cultura della sicurezza”. Occorre essere convinti, insomma, che affermare la dignità umana, rapporti di migliore civiltà nel lavoro e nella vita sociale, un’economia più sensata e sostenibile, è possibile.

*segretaria generale Cgil Brescia