Il testo che segue è la sintesi dell’articolo pubblicato nel n.1-2017 de La Rivista delle Politiche Sociali. Gli abbonati possono leggerlo qui in versione integrale. Questo è invece il link alla rubrica che Rassegna dedica alla stessa Rivista

Gli anni ottanta del XX secolo hanno segnato in Occidente l’inizio di una radicale trasformazione, caratterizzata da fattori di “austerità permanente” nella definizione e nell’attuazione delle politiche sociali. Fra questi, nei Paesi dell’Unione europea, troviamo il passaggio da un’economia a rapida crescita, in grado di sostenere le politiche sociali, a un’economia a crescita lenta o nulla; le trasformazioni economiche interne ai singoli Stati; le limitazioni all’autonomia dei governi nazionali derivanti dall’integrazione europea e dalla globalizzazione; il passaggio dal fordismo a un’economia post-industriale; i cambiamenti demografici, specialmente quelli derivanti dall’invecchiamento della popolazione e dai flussi migratori.

In tale scenario, riforme di stampo neoliberista hanno utilizzato una logica marcatamente economica e introdotto una crescente attenzione a criteri di efficienza, con importanti riduzioni di risorse finanziarie. Seguendo strategie di retrenchement, si sono registrate tendenze generali a ridurre la spesa sociale e, conseguentemente, ad abbassare il livello delle prestazioni dello Stato sociale; processi riscontrati anche in Italia, come emerge da analisi che, pur con di­versi accenti, illustrano quei processi di modernizzazione e ristruttu­razione che hanno seguito la fase storica di massima espansione del welfare.

Nel sistema dei servizi sociali e sanitari, questi cambiamenti hanno interessato direttamente le professioni di aiuto; tra queste il servizio sociale, nel complesso del panorama europeo e in Italia in particolare, è chiamato a fare fronte a una crescente e permanente riduzione di risorse economiche. A tale proposito, nella letteratura internazionale si segnala come la specificità della prospettiva del servizio sociale e del suo ruolo abbiano negli anni recenti sperimentato effetti importanti delle politiche, tra i quali la marginalizzazione di coloro che ricevono servizi e la riduzione del ruolo nei servizi di prevenzione e si osserva che l’orientamento a trasformare i servizi sociali in aziende e gli utenti – persone che scontano il prezzo delle disuguaglianze sociali – in consumatori sembra annullare le componenti di giustizia sociale implicite nella stessa esistenza dei servizi e del lavoro sociale.

Nella realtà italiana, tutto ciò si affianca alla sovrapproduzione di soggetti abilitati all’esercizio della professione di assistente sociale e alla crescente precarizzazione dei lavoratori del welfare, costituendosi come minaccia al professionalismo del servizio sociale. Fra gli elementi che possono essere compromessi, producendo l’attenuazione della rilevanza di questa figura e il rischio di deprofessionalizzazione, troviamo la riserva delle competenze, tipica delle professioni ordinate e l’autonomia professionale.

I risultati di diverse ricerche realizzate sul tema in questione sono accomunati da un elemento che riguarda l’opacità di quella valenza politica del ruolo ampiamente indicata in letteratura e indirizzata a influenzare le politiche dell’ente e a promuovere partecipazione e cittadinanza attiva. Il materiale empirico rimanda l’immagine di assistenti sociali estranei/estraniati da questi processi, incapsulati nella gestione dei casi individuali, non di rado compressi fra controllo dei requisiti di accesso alle prestazioni e procedure necessarie all’attivazione di queste ultime.

Lo scarto fra indicazioni teoriche e pratica richiede di essere ulteriormente interrogato, attraverso ricerche più estese. Rispetto al rischio di trasformare questi professionisti in meri esecutori di regole, appare urgente che la comunità del servizio sociale individui strategie per tradurre operativamente il senso della propria mission emancipatoria e promozionale. La sfida sembra essere quella di rinsaldare la connessione fra professione e democrazia, rintracciabile sia nelle funzioni di tutela e promozione dei diritti sociali, sia in quelle di contrasto a pratiche ingiuste, irrispettose e vessatorie.

Marilena Dellavalle è professore aggregato di Principi e Fondamenti del Servizio sociale all’Università degli Studi di Torino; Giovanni Cellini è docente a contratto di Metodi e Tecniche del Servizio sociale all’Università degli Studi di Torino