Oggi pomeriggio si è tenuta l’assemblea di Nidi Cgil sulla Carta dei diritti universali del lavoro, che ha visto la partecipazione di Susanna Camusso. L’iniziativa si è tenuta a Roma, presso il circolo Arci Jurgen Sparwasser di via del Pigneto al Casilino. Presente anche il segretario generale di Nidil, Claudio Treves (il podcast di RadioArticolo1).

Ad aprire i lavori, Fabio De Mattia, segretario Nidil di Roma e Lazio. “Il nostro obiettivo è ricomporre il mondo del lavoro sul piano dei diritti. Impresa difficile, che avrà tempi lunghi, ma non impossibile. Con l’impegno e la mobilitazione, possiamo fare quella che io chiamo una rivoluzione innanzitutto culturale. Abbiamo scelto il Pigneto per questa assemblea, perché proprio qui, da anni, allestiamo banchetti sul diritto del lavoro per avvicinare i lavoratori. Tanti sono precari, sfruttati, minacciati, per questo la nostra parola d’ordine è inclusione. Dobbiamo fare sinergia con i lavoratori a tempo indeterminato e, nel contempo, dobbiamo fare un salto di qualità sul piano della rappresentanza”.

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La parola è andata poi ai lavoratori. Il primo è stato un addetto di Teleperformance. “Noi Rsa abbiamo bisogno di una squadra dietro di noi, e la nostra squadra sono le categorie. Se rimaniamo soli, non ce la facciamo. Sono un lavoratore a somministrazione e di recente, un mio collega è stato licenziato solo per aver fatto un giorno di malattia. Un’altra collega è terrorizzata perché è incinta da poco, e non sa come avvertire l’azienda. Il problema non è creare una nuova Carta dei diritti, il problema è farla rispettare. Noi dobbiamo essere la Cgil, e dunque fare squadra. Dateci forza, affinchè il processo culturale passi per i posti di lavoro. Non basta raccogliere le firme, la Cgil deve essere presente sempre sul posto di lavoro. Perciò, ci vuole un sindacato forte e unito”.

Ha poi preso la parola Cristina Belli, della Rete degli studenti medi e universitari, “La Carta è un lavoro straordinario, dal punto di vista dei contenuti e il percorso di consultazione ha arricchito ulteriormente la proposta Cgil. Ma dobbiamo far capire a tutto il Paese la portata rivoluzionaria di questa iniziativa. Portiamo avanti la battaglia dei diritti, a cominciare da quelli delle donne sul lavoro, visto che non si riesce ancora a far conciliare i tempi di lavoro con la maternità. Sfruttiamo di più tutti i mezzi a nostra disposizione, a cominciare da social network, infografica, video. Cogliere tale sfida e trasmetterla a una platea, tutti gli italiani, che spesso è gente poco istruita e preparata, soprattutto in materia legislativa”.

Poi è stata la volta di un cosiddetto mediatore culturale. “Lavoro in un museo per conto di una società esterna, sulla base della legge Ronchey del 1993, che ha iniziato a esternalizzare i servizi nei musei più importanti d’Italia. Io e i miei colleghi lavoriamo tutti con contratti a progetto da un decennio e più, e in tanti anni non abbiamo avuto mai solidarietà dai compagni della Filcams. Non c’è un’unità dei lavoratori, e questo c’indebolisce ulteriormente. Da parte dell’azienda, si preferisce risparmiare di continuo e il servizio erogato ai cittadini è un servizio scadente, perché lo Sato non è capace di controllare di come vengano gestiti i servizi essenziali. Di recente, alcuni di noi, pur di continuare a lavorare, hanno accettato condizioni capestro, come la partita Iva o il demansionamento: così da mediatore culturale è ora diventato addetto alla biglietteria”.

“Faccio pratica forense in uno studio legale e mi occupo di diritto del lavoro, che in vent'anni si è trasformato da disciplina in ricatto verso i lavoratori. Per l’appunto, il demansionamento è diventato uno strumento di ricatto sulle condizioni di lavoro – ha detto un giovane avvocato precario –. Per questo, la Carta della Cgil è un’iniziativa fondamentale, che va nella direzione giusta, che prova a mettere in piedi delle controtutele a vantaggio die lavoratori. Il nuovo Statuto deve diventare strumento di dibattito pubblico che coinvolga ampi settori della società, e poi va sottoposto al Governo. È evidente che il Jobs act è un’operazione fatta solo per attaccare e penalizzare i diritti dei lavoratori. Di contro, se vogliamo che la Carta prevalga, noi si devono costruire alleanze tra lavoratori che il mercato del lavoro ha messo in competizione. La Cgil deve creare uno sportello di alfabetizzazione sui diritti del lavoro. Dobbiamo avvicinare i lavoratori più sfruttati, come i somministrati, come tutti coloro che vengono pagati coi voucher”.

Una ex dipendente di Italia Lavoro: “Il diritto al lavoro oggi viene garantito da una serie di soggetti. La grande contraddizione del Paese è che l’ente che si occupa di collocamento è un ente che ha 1.250 lavoratori per due terzi precari - 850 contro meno di 400 a tempo indeterminato -. E noi precari, per continuare a lavorare, ogni due anni dobbiamo fare degli esami. E ogni volta molti di noi restano fuori, pur lavorando da dieci anni, oppure vengono riassunti a livelli inferiori e quindi con stipendi inferiori. Non abbiamo alcuna possibilità di fare carriera. Tutto questo. a discapito di chi dal nostro lavoro dovrebbe trovare un beneficio, i disoccupati. La Carta dei diritti ridisegna un sistema di rappresentanza aziendale, ma un punto debolissimo nel nostro sistema di relazioni è la capacità di fare sintesi fra interessi contrapposti, quelli dei precari e quelli di coloro che hanno il posto fisso. Noi siamo sempre sotto ricatto, abbiamo meno diritti e più paura. Servirebbero delle quote dedicate per garantire la rappresentanza dei precari in queste liste. C’è bisogno di capacità di sintesi tra Cgil e categorie. Questo, al fine di evitare una guerra tra poveri tra noi lavoratori”.

Alessandro Pacca lavora per Job Camere, una società interinale che agisce per conto delle Camere di commercio. “La Carta dei diritti è basilare, soprattutto sul piano dell’informazione dei diritti ai lavoratori. Finalmente i lavoratori sono visti come un gruppo unico, non ci sono più lavoratori di serie A e di serie B. È importante anche l’equo compenso, contro la tendenza delle aziende che tendono a pagare sempre di meno il lavoratore, così come il diritto alla libera rappresentanza. Appoggio la Cgil in questo percorso, che spero sia vincente”.

È salito sul palco poi un addetto di un call center. “Siamo considerati degli ‘innovatori’ in Italia, nel senso che siamo stati i primi ad avere meno tutele sul lavoro. Quello dei call center è un mondo surreale, come ha ben documentato in un film Paolo Virzì. Siamo oggetto di contestazioni e richiami quotidiani da part dell’azienda per via degli orari, dei turni, delle ferie, della malattia e di qualsiasi altra cosa. Per noi, tutto questo è normalità. Al sindacato rimprovero che non ci sia unità d’intenti tra categorie. Nel frattempo, noi, dopo anni, siamo diventati dei precari istituzionalizzati. E con il Jobs act, la situazione è peggiorata. Di recente, ci hanno detto che ci vogliono normalizzare: aiuto! Stavolta temo di finire disoccupato”.

Anche Francesca lavora in un call center: “Sono una lavoratrice precaria da 16 anni, prima cococo, poi cocopro, la mia trafila è stata davvero lunga, ma oggi la situazione non è cambiata in meglio, anzi, è addirittura peggiorata. Vivo nell’incertezza più assoluta, perché non so mai se sono di turno o meno, e non so se il mese dopo verrò chiamata e avrò lo stipendio, che non supera mai i mille euro. Faccio sempre le stesse interviste, ma se mi si rompe il computer lo deve pagare io, se va via la corrente, sono io a restare penalizzata. Se mi ammalo per sessanta giorni, mi licenziano. Andiamo avanti e abbiamo sempre meno diritti. Siamo arrivati al fatto che lo stesso lavoro dato dalla stessa azienda può essere retribuito in maniera diversa. Intendiamoci, è tutto nero su bianco, non c’è nulla d’illegale. La Carta della Cgil spero possa aiutare a cambiare le cose e a farmi avere qualche tutela in più”.

È toccato poi a un esponente del movimento studentesco. “La sfida della Carta è molto coraggiosa, perché dice che il mondo del lavoro deve giocarsi il tutto per tutto e andare finalmente all’attacco. Ma cosa fare per far diventare la Carta uno strumento di forza per i lavoratori, soprattutto per quelli più deboli? Come riuscire a mettere in piedi un reddito universale e un nuovo sistema di welfare per tutti?”

L’ultimo a intervenire un operatore di cooperazione allo sviluppo, attualmente disoccupato. “Dal ’91 ho lavorato con contratti a progetto per le Onlus. Il mio contratto è collegato per legge al singolo progetto, la cui durata dipende dalla durata del progetto stesso. Sono molto entusiasta della Carta dei diritti della Cgil, perché finalmente si riprende la centralità del lavoro attaccando contro tutto quello che quotidianamente devono subire i lavoratori. Alcuni elementi di osservazione. È giusto unificare tutti i lavoratori sul piano dei diritti, comprese le partite Iva e i voucher. Bene i contenuti della Carta, ma dobbiamo avere la forza di riuscire ad applicarle. Da rivedere, però, il capitolo sulle sanzioni per l’imprenditore che viola le regole. Quelle previste sono troppo basse, fino a 600 euro. Per me, questo articolo della Carta è da rivedere. Le sanzioni devono essere molto più pesanti, per far sì che l’azienda ci pensi mille volte prima di violare le regole. In un Paese dove l’elusione è maggiore dell’evasione, non aiutiamoli anche noi”.    

Infine, le conclusioni di Susanna Camusso. “Sono state le divisioni sempre più profonde del mondo del lavoro a spingerci a proporre la Carta dei diritti universali. Perché quelle divisioni ci impedivano, con i vecchi strumenti, di trovare risposte per l’insieme dei lavoratori”. Un passo tutt’altro che scontato per la Cgil, ha sottolineato il segretario generale. “Perché – ha spiegato – abbiamo una lunga storia alle spalle, e per molto tempo abbiamo pensato e immaginato che esistesse un’unica modalità ‘legittima’ di lavoro e che tutto il resto andasse ricondotto a quello”.

Per questo, ha aggiunto 'brutalmente' la leader Cgil, “se non eri in quella categoria di lavoratore per il sindacato non esistevi”. La sindacalista, quindi, ha riportato alla platea dei lavoratori romani un aneddoto emerso nel corso di un’altra assemblea sulla Carta a Milano: “È la storia di un lavoratore atipico dello spettacolo, una partita Iva, che si reca in Cgil, qualche anno fa, per chiedere tutela, ma si sente rispondere: tu sei una partita Iva, sei un ‘padrone’, noi tuteliamo i lavoratori dipendenti”.

Una fase che, non senza fatica, la Cgil si è messa alle spalle, anche grazie a Nidil, “anche se qualcuno – ha aggiunto la dirigente sindacale – pensava che anche quella fosse solo una parentesi transitoria”. Insomma, la Carta rappresenta “un salto importante rispetto alla nostra storia e alla nostra tradizione; ora la sfida sarà quelle di metabolizzare questo salto e provare a misurarci quotidianamente con chi finora ci ha guardati con diffidenza, perché non si sentiva riconosciuto e rappresentato”, ha concluso Camusso.