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Ci sono momenti in cui ci si innamora talmente tanto di una idea da non vedere che è già stata superata dalla realtà. È ciò che sembrerebbe stia accadendo all’Inps, che – dopo tanti annunci e stop and go – sta provvedendo a inviare la famosa “busta arancione” a oltre 7 milioni di lavoratori, contenente una proiezione della futura pensione di ognuno di loro. L’idea nasce da molto lontano. La prima volta se ne parlò nell’ormai lontano 1995, quando il nostro paese approvò l’ultima grande riforma delle pensioni, realizzata con il consenso delle parti sociali. Bei tempi, verrebbe da dire, perché la legge 335 innovò il sistema pensionistico, ponendo delle basi solide che ora tutti rimpiangiamo. Senza minare le basi solidaristiche e universali, introdusse elementi di flessibilità in uscita che lasciava una certa libertà di scelta individuale. Il calcolo contributivo delle pensioni, che ha sostituito quello retributivo, accompagnato dall’impegno di sviluppare la previdenza complementare, per compensare l’eventuale perdita del valore delle pensioni pubbliche, aveva posto in sicurezza i conti previdenziali nel nostro paese. E proprio per incoraggiare una maggiore cultura previdenziale tra i lavoratori, era stato previsto di inviare periodiche comunicazioni agli assicurati, affinché potessero essere ragguagliati sulla rivalutazione del montante contributivo individuale su cui sarebbe stata calcolata la pensione. Un po’ alla maniera dei paesi scandinavi.
Sono passati più di 20 anni e nel frattempo le cose sono profondamente cambiate. Il mercato del lavoro è stato assalito da una crisi economica e finanziaria senza precedenti, tanto da indurre a più riprese il Parlamento a scrivere leggi per delimitare sempre più i perimetri di ogni esercizio del diritto, dal lavoro al welfare, fino a trasformare il pensionamento in una variabile dipendente “esclusivamente” dalle dinamiche economiche. La legge Monti-Fornero è il risultato di questo lungo percorso travagliato, che ha cancellato le speranze e ogni forma di fiducia nel futuro ai giovani e ai lavoratori maturi, rimasti intrappolati tra disoccupazione e precarietà. Nel bilancio dello Stato, ancora oggi, complice il perdurare della crisi, il capitolo pensioni continua a essere usato come un bancomat da cui prelevare sempre di più per far fronte al debito pubblico e scongiurare il default del nostro paese. Ciononostante, si vuole far sopravvivere l’idea che basti una “busta arancione” per restituire fiducia e consapevolezza ai lavoratori e alle lavoratrici e rilanciare una nuova cultura previdenziale; come se il brusco innalzamento dei requisiti fosse un ineludibile prezzo da pagare per poter esercitare il diritto a pensione e potesse essere attenuato da questa previsione. In tanti si chiedono se i dati forniti con la “busta arancione” siano corretti. Certo, per un ultracinquantenne possono fornire elementi abbastanza indicativi circa il suo futuro pensionistico, seppure basati su proiezioni economiche nelle quali tutti vorremmo sperare, ma che non vediamo all’orizzonte.
E per i giovani? Ma quale pensione si può aspettare un giovane che lavora saltuariamente e che, nella migliore delle ipotesi, guadagna mediamente meno di mille euro al mese? Ma quale prestazione potrà mai derivare se i calcoli previdenziali sono fatti sulla base di indicatori ottimistici, come quello di un Pil all’1,5% annuo, e di un aumento costante in futuro? A che serve sapere che, probabilmente, tra quarant’anni o più, considerando l’aumento della speranza di vita, cui sono legati i requisiti anagrafici e contributivi, avrò una pensione di 700 euro? A quella data, quale sarà il valore del potere d’acquisto dell’euro? E soprattutto, considerando la propensione del legislatore a modificare le regole in corso, quale sarà lo scenario normativo? Verrebbe voglia di citare la poesia di Lorenzo de’ Medici: “Quant'è bella giovinezza, che si fugge tuttavia! Chi vuol essere lieto sia, di doman non v'è certezza”. Noi crediamo che i giovani non abbiano bisogno di previsioni edulcorate, ma di sicurezza e continuità occupazionale, retribuzioni decenti, certezza contributiva da parte dei datori di lavoro; di una sana e consapevole educazione previdenziale, che dia loro qualche strumento in più per non sottovalutare l’importanza del risparmio previdenziale, pubblico e integrativo, e di una forza per esigere che tutta la contribuzione loro dovuta sia effettivamente versata.
Morena Piccinini è presidente dell’Inca