L’intervento realizzato dal governo in tema di revisione dei contratti di lavoro con il decreto legislativo 81 (del 15 giugno scorso), adottato nell’ambito del cosiddetto Jobs Act, non si può definire complessivamente migliorativo del livello di tutela garantito al diritto alla salute ed alla sicurezza dei lavoratori. Infatti, con una sola eccezione (quella relativa alle collaborazioni esclusivamente personali, continuative e con modalità di esecuzione organizzate dal committente, per le quali si registra un avanzamento, visto che ad esse si applicherà, a partire dal 1 gennaio 2016, la normativa del lavoro subordinato), sono riscontrabili alcune modifiche in senso peggiorativo, che comunque non determinano un arretramento significativo rispetto al passato.

Poco comprensibile, anzitutto, è l’abolizione della sanzione amministrativa pecuniaria che colpiva anche il somministratore in caso di ricorso alla somministrazione di lavoro in assenza della valutazione dei rischi (mentre positiva appare l’estensione del divieto in questione ai datori di lavoro non imprenditori, così come la precisazione circa le conseguenze sanzionatorie della sua inosservanza per quanto concerne il contratto a termine, destinato d’ora in poi a convertirsi senza più incertezze in contratto a tempo indeterminato).

Del pari discutibile è l’impossibilità, per il lavoratore somministrato, di conoscere i casi in cui è l’utilizzatore ad assumersi contrattualmente la porzione dell’obbligo di formazione e addestramento gravante per legge sul somministratore, non essendo stata colmata la lacuna derivante dalla scomparsa della previsione previgente, che imponeva di fare menzione di ciò nel contratto di lavoro. Analogamente, non è mantenuto l’obbligo dell’utilizzatore di informare il lavoratore qualora le mansioni cui è adibito richiedano una sorveglianza medica speciale.

A ciò potrebbe aggiungersi il caso del lavoro accessorio. Infatti, se il decreto legislativo del governo sulla razionalizzazione e semplificazione di procedure ed adempimenti a carico di cittadini ed imprese venisse definitivamente varato nella formulazione attuale (per ora è stato approvato dal Consiglio dei ministri solo in via preliminare), si determinerà un restringimento del campo di applicazione del cosiddetto Testo Unico su salute e sicurezza (decreto legislativo 81/2008), destinato a operare nella sua interezza solo qualora la prestazione sia resa a favore di un committente imprenditore o professionista (mentre, nelle altre ipotesi, interverrà esclusivamente l’art. 21 dello stesso decreto, in tema di impresa familiare e lavoro autonomo). Questa limitazione, peraltro, potrebbe trovare giustificazione nell’esigenza di coordinare il Testo Unico con gli interventi succedutisi nel tempo sul lavoro accessorio, che hanno ampliato di molto la possibilità di farvi ricorso.

Nondimeno, anche quando non si registra alcun effetto peggiorativo rispetto alla situazione pregressa, a tale risultato si perviene essenzialmente grazie a un’interpretazione sistematica di tutte le norme rilevanti in materia: diversamente, infatti, la mancata riproposizione di alcune disposizioni nell’ambito della disciplina specificamente dedicata ai singoli contratti di lavoro avrebbe rischiato di lasciare vuoti di tutela difficilmente comprensibili. Si pensi al caso del lavoro a termine, in relazione al quale l’abolizione dell’obbligo di una formazione sufficiente e adeguata alle caratteristiche delle mansioni oggetto del contratto, al fine di prevenire rischi specifici connessi all’esecuzione del lavoro, risulta comunque compensata dalla lettura combinata delle pertinenti previsioni del Testo Unico.

Nonostante si riesca in tal modo a soddisfare tutto sommato le esigenze preventive e protettive, restano tuttavia non poche perplessità per la scarsa sensibilità, che pare emergere dalle abrogazioni operate, dimostrata dal legislatore relativamente alle problematiche concernenti la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori flessibili, con il rischio, per quanto concerne il lavoro a tempo determinato ed in somministrazione, che ciò si traduca altresì in un aggravamento della già dubbia conformità del nostro ordinamento rispetto al diritto comunitario.

* ricercatrice di Diritto del lavoro, Università di Urbino Carlo Bo