"Il Jobs act mantiene invariata quella giungla di tipologie contrattuali, tipica del nostro mercato del lavoro. Quelle figure che il Governo dichiara come abrogate, in realtà, sono semplicemente modificate. Quindi, rimane tutta la precarietà che esisteva prima: cambierà solo forma e tipologia. A ciò si aggiunge il fatto che il nuovo contratto a tempo indeterminato sarà di per sé ancora più precario". Così Serena Sorrentino, segretaria confederale della Cgil, stamattina ai microfoni di 'Italia Parla', la rubrica quotidiana di RadioArticolo1.

"A tale quadro, si aggiunge un'ulteriore frattura, quella tra vecchi e nuovi assunti: per i primi, varrà l'articolo 18, per i secondi, no, e ciò avverrà nello stesso luogo di lavoro e a parità di mansione".
"In tema di licenziamenti, poi - prosegue Sorrentino -, la nuova norma causerà un aumento dei contenziosi. Su questo, il Governo ha costruito un ulteriore dualismo, perché i lavoratori che sono tutelati dalle condizioni previgenti all'entrata in vigore della legge 183/2015, non solo hanno una differenza di trattamento rispetto alla tutela reintegratoria, cioè l'ex articolo 18, ma hanno anche un trattamento giudiziario differente, perché per i vecchi lavoratori si potrà continuare a ricorrere al rito Fornero, e cioè la possibilità di svolgere il processo in tempi più rapidi e con una calendarizzazione accelerata e di fare sempre ricorso al giudice e di avere, addirittura, la possibilità di ricorrere alla sede conciliativa costituita dalle organizzazioni sindacali preventiva al licenziamento", spiega la dirigente sindacale.

"Per i nuovi lavoratori, che entrano con il contratto a tutele crescenti, non soltanto sono limitati i casi della tutela reintegratoria sui licenziamenti, ma dovranno ricorrere al rito giudiziario normale, anziché quello Fornero; quindi, con un allungamento dei tempi. Inoltre, la modalità dell'offerta di conciliazione proposta non è assistita, e non ci sarà, dunque, la presenza di un rappresentante di parte del lavoratore, e la procedura potrà svolgersi in una commissione abilitata alla certificazione dei licenziamenti che prevede strutturalmente la riduzione del 50% di quanto il lavoratore avrebbe percepito in termini d'indennità risarcitoria. Parliamo di un lavoratore licenziato dopo 3 anni in un'impresa sopra i 15 addetti: avrà diritto a sei mensilità, ma se accetta l'offerta di conciliazione diventano 3, sono esentasse e non ci sono i contributi. Questo, è l'unico vantaggio per il lavoratore. Se, al contrario, è un dipendente in un'impresa sotto i 15 addetti e lavora in quell'impresa da 3 anni, le mensilità in termini d'indennità risarcitorie, anche quando il licenziamento è illegittimo, qualora accetti l'offerta di conciliazione, saranno 3 in via ordinaria, quindi una e mezza, perché l'offerta di conciliazione prevede il 50%, e quindi ciò si tradurrebbe in un'ulteriore penalizzazione dal punto di vista dei diritti", precisa Sorrentino.

"Altri lavoratori penalizzati dal Jobs act sono sicuramente i lavoratori degli appalti. Il timore è che ci si troverà davanti a licenziamenti di dipendenti a tempo indeterminato che verranno poi riassunti con quello che il Governo definisce contratto a tutele crescenti e che noi chiamiamo a monetizzazione crescente".

"Per evitare abusi di questo tipo - ricorda Sorrentino -, avevamo messo all'attenzione del Governo un sistema del monitoraggio ad hoc. Se non regolata, la nuova norma può scaricare sui diritti dei lavoratori la difficoltà che si ha nel gestire una norma che è complicata per sua stessa definizione, perché la disciplina degli appalti è stata, nel corso del tempo, assai modificata: sono state indebolite sia la clausola sociale che la responsabilità solidale, che noi, al contrario, vogliamo che siano generalizzate nei cambi d'appalto. Per tale ragione, abbiamo lanciato una legge d'iniziativa popolare, per cui stiamo raccogliendo le firme dei cittadini". L'unica riserva prevista dal legislatore è per quei lavoratori che lavorano da vent'anni negli appalti: quando ci sarà il subentro nelle tutele crescenti, qualora dovessero essere licenziati, anche legittimamente, l'indennità risarcitoria gli verrà calcolata computando tutta l'anzianità, inclusa quella pregressa con l'articolo 18. Ma questo non può essere l'unico elemento di garanzia nella gestione delle procedure che riguardano i subentri d'appalto", sottolinea ancora la segretaria confederale.

"La riforma del mercato del lavoro tenderà a penalizzare maggiormente le aree più depresse del nostro Paese. La norma relativa al contratto a tutele crescenti, contenuta nella legge di Stabilità, che combina l'esonero contributivo ai nuovi contratti a tempo indeterminato, ha una forma diversa rispetto agli incentivi che sono stati aboliti e che riguardavano in particolar modo il Mezzogiorno. Mi riferisco alla legge 407, che rimborsava fino al 100% dei contributi per l'impresa che assumeva a tempo indeterminato nel Sud e fino al 50% nel Centro Nord.
Ciò, sarà un forte incentivo al turn over e non cambierà sostanzialmente il quadro della precarietà che nel Sud è in forte crescita, proprio laddove l'area del lavoro contrattualizzato è arretrata: mi riferisco, ad esempio, alla preponderanza del ricorso al lavoro accessorio in agricoltura e nel turismo. Quindi, l'impatto del Jobs act non ha né efficacia nel promuovere nuova occupazione, perché non stiamo parlando di politica industriale, e determinerà un peggioramento delle condizioni di lavoro. Se, poi, ci aggiungiamo la norma sulle mansioni e la possibilità di fare contratti di prossimità che derogano anche i salari nazionali, è chiaro che le aree un po' più a rischio sono quelle dove c'è una disoccupazione più alta, perché ci sarà una competizione più forte fra tanta disponibilità in termini di offerta di lavoro e pochissima domanda di lavoro", osserva Sorrentino.

"Ma con il Jobs act anche il modello di sicurezza sociale esce indebolito. A un aumento della flessibilità in entrata, la precarietà, e in uscita, i licenziamenti, dovrebbe corrispondere un incremento delle tutele in termini assicurativi. Finora, abbiamo visto la prima parte della riforma degli ammortizzatori, con la Naspi che sostituirà l'Aspi: non è un allargamento della platea, e il nuovo sistema penalizzerà sicuramente categorie di lavoratori come gli stagionali, che avranno una decurtazione dei periodi d'indennità di disoccupazione che percepiscono con la Naspi. Oltretutto, c'è una decurtazione della durata del nuovo sistema, perché si dice che sarà di 104 settimane, ma siccome al Governo già sanno che le risorse scarseggeranno dal 2016, anche perché la Naspi assorbirà progressivamente la mobilità, si riduce la copertura a 78 settimane. in più, c'è un sistema di cosiddetto decalage, cioè l'assegno ti viene decurtato del 3% sulla Naspi dal quarto mese in poi, fino al momento in cui rimani nell'indennità di disoccupazione involontaria. Teoricamente, quindi, l'hanno propagandata come un allargamento, praticamente è la conferma dell'Aspi, con qualche piccolo aggiustamento, che causa, però, un effetto devastante, sia dal punto di vista previdenziale che dal punto di vista della riduzione strutturale dei fondi", sostiene l'esponente Cgil.

"Anche sulla cassa integrazione il Governo vuole andare a una pesante riduzione della durata e del sistema di accesso. È chiaro che è stata fatta un'operazione di finanziamento dei licenziamenti e di definanziamento degli ammortizzatori sociali: da maggio, scompaiono cig e mobilità in deroga, non sono stati rifinanziati i contratti di solidarietà di tipo B, quelli per evitare i licenziamenti nelle piccole imprese, che sono anche quelle scoperte dalla deroga. A tutto ciò, si aggiunge l'incognita delle politiche attive. Si parla di una riforma di sistema, di un'agenzia nazionale per l'occupazione, ma nel frattempo abbiamo il conflitto di attribuzione delle competenze tra Regioni e Governo, che sarà risolto quando e se ci sarà la riforma costituzionale. Per ora, vi è incertezza sulla governance e non c'è alcuna idea di dove reperire risorse. Insomma, il Jobs act ha regalato tantissima flessibilità all'impresa, su precarietà, licenziamenti e gestione delle mansioni, e in cambio non ha restituito nulla ai lavoratori in termini di maggiore assicurazione sociale, protezione dal rischio di licenziamento e politiche attive per la riconversione occupazionale. Lo stesso contratto di ricollocazione, introdotto dal decreto sulla Naspi, è la somministrazione di un voucher e difficilmente sarà una politica di reinserimento se non cambia la politica industriale, e quindi se non c'è un incentivo alla creazione di nuova occupazione e non solo la redistribuzione dell'occupazione tra una forma contrattuale e l'altra", conclude Sorrentino.