Una delocalizzazione, ancora una volta. È quella della statunitense Invatec Medtronic, azienda leader del settore biomedicale, che ha deciso di chiudere gli stabilimenti di Roncadelle e Torbole Casaglia (entrambi in provincia di Brescia) entro il primo semestre del 2020. Da 25 giorni i 314 lavoratori sono in assemblea permanente: in questo periodo hanno dato vita a una larghissima mobilitazione, che però finora non ha sortito alcun effetto, visto che nell’ultimo incontro (di martedì 19 giugno) la proprietà ha ribadito le proprie intenzioni. La speranza è che la situazione si possa ribaltare nel prossimo vertice, convocato a Roma, presso la sede del ministero dello Sviluppo economico, per giovedì 12 luglio.

“La decisione della multinazionale americana di spostare all'estero produzione, ricerca e sviluppo è inaccettabile”. Una dura presa di posizione sulla vertenza arriva da Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, osservando che “sono così vanificati i sacrifici dei lavoratori che non più di un anno fa hanno sottoscritto un accordo che aumentava il part time per salvare i posti di lavoro”. Per il leader sindacale “non è accettabile che l'azienda, dopo aver acquisito brevetti di una produzione altamente specializzata, usato impunemente licenziamenti, ammortizzatori sociali e soldi pubblici, sposti in modo ingiustificato produzioni e ricerca, lasciando 314 persone senza lavoro e senza prospettive”. Susanna Camusso afferma che “tutto il nostro appoggio va alle lavoratrici e ai lavoratori, al 90 per cento donne, che con coraggio e determinazione sono da oltre venti giorni in presidio e sciopero permanente per il lavoro e la loro dignità. Servono risposte urgenti da parte delle istituzioni, del ministero e anche delle associazioni industriali locali che non possono essere semplici spettatori”.

Invatec Medtronic ha annunciato la chiusura dei due stabilimenti il 7 giugno scorso: la produzione si fermerà nel 2019, la dismissione totale è prevista entro il giugno 2020. Filctem Cgil, Femca Cisl e Uiltec Uil rimarcano che l'azienda è già stata interessata da un pesante piano di esuberi negli scorsi anni, “giustificato” da un progetto di rilancio industriale. In quel progetto i siti di Torbole Casaglia e Roncadelle erano definiti centri di eccellenza, e posti in salvo da eventuali esuberi. La decisione di chiudere e licenziare, quindi, sarebbe una violazione di quell’accordo.

“Una decisione che ci preoccupa e che deve preoccupare il governo italiano: commesse pubbliche e delocalizzazione non possono andare insieme”. Così la Filctem Cgil di Brescia, rilevando che “quando sono presenti commesse pubbliche l'Italia deve dire la sua. Il rischio è che quest’atteggiamento possa spingere tutti i player a delocalizzare per rincorrere la logica dei bassi costi. Questo è un caso che potrebbe fare scuola”. Il sindacato territoriale, infine, sottolinea che la multinazionale statunitense è “un’azienda che ha un andamento positivo e non ha crisi di mercato né di arretratezza tecnologica”.

La Invatec è un’impresa sana e produce utili (nelle scorse settimane è stato approvato un aumento del 9 per cento del dividendo trimestrale), e finora non ha mai espresso problematiche relative a efficienza e produttività. La chiusura dei due stabilimenti bresciani, evidenziano i sindacati, risponde unicamente alla logica di spostare la produzione verso Paesi con un costo del lavoro più basso (presumibilmente Irlanda e Messico) e di trasferire le aree di ricerca e sviluppo negli Stati Uniti. Filctem, Femca e Uiltec sottolineano che le due dismissioni rappresentano anche la perdita di un'eccellenza nell'ambito delle produzioni biomedicali, settore nel quale l’Italia è leader mondiale, con la conseguente dispersione di professionalità e competenze.

“Dopo avere sfruttato lavoratrici e lavoratori, e utilizzato ogni tipo di risorsa pubblica (cassa integrazione, contratti di solidarietà e piani di riduzione del personale), l’Invatec Medtronic scappa all'estero, lasciando il disastro sociale sul nostro territorio e portando via i brevetti e le produzioni di eccellenza”. Questo si legge in una “lettera aperta” che i lavoratori hanno consegnato domenica 1 luglio  al ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio, che ha assicurato tutto il proprio sostegno nella vertenza. Nella missiva i dipendenti hanno anche chiesto “il ritiro immediato del piano di dismissione e l'apertura di un tavolo che trovi le soluzioni per il mantenimento dei siti produttivi e dei livelli occupazionali”.

Diverso, ovviamente, il punto di vista dell’azienda, che inserisce il provvedimento all’interno “del proprio progetto strategico di gestione globale delle attività produttive”. La decisione di cessare le attività è stata “assunta a seguito di un'attenta e approfondita analisi e della necessità di ottimizzazione delle realtà produttive, che aveva come obiettivo il miglioramento dell'efficienza complessiva dell'azienda in uno scenario sempre più competitivo”. La Invatec riconosce “il lavoro, la dedizione e la qualità espressi negli anni dai dipendenti”, assicura che “fornirà ogni possibile assistenza ai lavoratori per contribuire a ridurre gli effetti di questa decisione” e s’impegna a favorire “la ricerca di nuove opportunità di lavoro”.

“Ancora una volta una multinazionale decide di smantellare la produzione per spostarla in altri paesi, in una logica puramente speculativa, dopo avere incassato denaro pubblico”. Silvia Spera, segretaria generale della Camera del lavoro di Brescia, pone in evidenza che “solo un anno fa si raggiunse un accordo sindacale che costò pesanti sacrifici e oltre 100 licenziamenti: da molto tempo i dipendenti vivono precarietà e incertezza sul loro futuro, nonostante ci siano utili, commesse e prodotti di alta qualità”. Spera sottolinea anche che “non è sufficiente che oggi la sola discussione in campo da parte delle forze politiche sia la richiesta, sia pur fondata, di norme contro le multinazionali predatrici, e che non vi sia alcun richiamo alle responsabilità degli imprenditori nostrani”. Per la segretaria generale della Cgil di Brescia, in conclusione, la vicenda Medtronic “chiama in campo responsabilità individuali e collettive del nostro territorio. È insufficiente richiamare ed enfatizzare le eccellenze se poi non si manifesta una volontà territoriale nel difenderle”.

Anche la Filctem Cgil della Lombardia si schiera a fianco delle lavoratrici e dei lavoratori. “La decisione della multinazionale americana è grave per il danno sociale che provoca alle persone e al territorio, e perché fortemente immotivata sul piano delle prospettive industriali e finanziarie del gruppo”, spiega il segretario generale Rosalba Cicero: “Il ministro del Lavoro e il governo hanno un primo banco di prova per dimostrare concretamente l’orientamento che hanno più volte espresso di voler impedire i processi di delocalizzazione industriale dal nostro Paese. Per questo, pensiamo che il tavolo di confronto al ministero del Lavoro debba produrre una soluzione per questa delicata vicenda".