L’onda lunga del terremoto continua a colpire e ha una vittima predestinata: il turismo. Nella fascia appenninica tra Umbria, Marche, Lazio e Abruzzo si stimano centinaia di milioni di euro andati in fumo, con almeno 8 mila posti persi nell’accoglienza. Non è solo una questione di lavoro. Stiamo parlando dello spopolamento di una larga parte dell’Italia, di un progressivo abbandono che però non è inevitabile. Come combattere allora “l’effetto panico” e convincere le persone a tornare da queste parti? Un modo in realtà ci sarebbe, secondo Lucia Tomassini, ricercatrice alla Leeds Beckett University, in Inghilterra, esperta di turismo a livello internazionale: “Non si deve cancellare la memoria storica del terremoto, ma al contrario raccontare cosa significa vivere in queste zone. L’esperienza – osserva la studiosa, interpellata da Rassegna Sindacale in una pausa del congresso della Filcams - ci insegna che in altre parti del mondo dove ci sono state calamità naturali simili, si è riusciti a recuperare. E quindi, pensando alla realtà appenninica, dobbiamo valorizzare i tanti punti di interesse storico, sociale e culturale”.

In poche parole, non facciamo finta che non sia successo nulla, senza spettacolarizzazione, certo, ma puntando sulla testimonianza: questo è uno scenario auspicabile. Non a caso la Filcams Cgil, che rappresenta gli addetti del turismo, ha scelto di svolgere il proprio congresso nazionale proprio in Umbria, ad Assisi. “Abbiamo voluto dare un segnale di presenza in queste zone a due anni dal sisma portando qui i delegati”, spiega Cristian Sesena, della segreteria nazionale: “È una scelta politica. La nostra intenzione è ragionare sul rapporto tra cultura e turismo. E siccome siamo ormai ‘felicemente’ rassegnati all’assenza delle istituzioni nella cultura, abbiamo deciso di puntare sulle idee di artisti che hanno vissuto in prima persona quello che è successo”. Da qui l’idea di far parlare al congresso uno scrittore come Angelo Ferracuti, un attore come Neri Marcorè, e una giovane regista, Cecilia Fasciani, che si è addirittura autofinanziata un film sulle donne che resistono. “È il nostro modo per portare una testimonianza, denunciare, chiedere un riscatto civile. Diamo noi una connotazione politica alla cultura, visto che la politica non ne parla più”.

La tavola rotonda al centro della seconda giornata congressuale della Filcams lo ha ribadito in modo molto chiaro: il binomio cultura-turismo è l’unico antidoto all’abbandono, anche se nulla può essere più come prima. “Non dobbiamo avere il pudore di mostrare le ferite – insiste Sesena –. Non penso certo al voyerismo, ma bisogna prendere atto che è sbagliato nascondere ciò che è successo. Il tutto va ovviamente legato al lavoro buono, agli investimenti, alle infrastrutture, a un impegno focalizzato a tutti i livelli sul turismo come trampolino per ripartire. Il nostro impegno continuerà anche in assenza delle istituzioni, che in molti casi si sono limitate alle passerelle”.

Allargando lo sguardo, bisogna ricordare che l’Italia è ben piazzata, al quinto posto mondiale come meta turistica, e che questo settore dà un contributo fondamentale al nostro Pil pari a oltre il 10 per cento. Però la gran parte degli arrivi è ancora concentrata nelle città d’arte. La chiave è dunque nella decentralizzazione, nel cercare cioè di rendere più attrattivi nuovi punti di interesse. "Qualcuno – riprende Tomassini –  ancora pensa che un bel luogo porti automaticamente i turisti, ma ciò non è automatico: se non si investe su servizi e infrastrutture rimane tutto sulla carta. L’Italia, per dire, ha potenzialità enormi come il museo diffuso e i cambi di scenario a brevi distanze. Però manca l’approccio scientifico che hanno altri Paesi nordeuropei. Siamo ancora legati alle solite figure delle guide e delle agenzie, che ovviamente servono, ma non bastano. Manca invece uno studio di alto livello che tenga conto dell’aspetto territoriale. Il ragionamento va fatto quindi a monte: nel nostro Paese si parla tanto di turismo, ma poi purtroppo si fa poco”.

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