Sulla fenomenologia della Lega Nord, negli ultimi decenni, si sono già tentate varie analisi, per lo più fuorvianti e non troppo disinteressate. Il risultato di questa banalizzazione, che di volta in volta dei leghisti ha enfatizzato soltanto gli aspetti lessicali più grotteschi, ha trascurato però di vedere cos’altro la Lega avrebbe potuto inventarsi una volta insediatasi a Roma e scegliendo Silvio Berlusconi in ragione del potere. Lynda Dematteo, una studiosa francese dell’Istituto interdisciplinare di antropologia del contemporaneo (il Cnrs-Ehess di Parigi), che per dare corso alle sue ricerche ha vissuto per un certo periodo a Bergamo, sta scatenando un curioso dibattito mediatico sul Carroccio, anche nella versione "più pacata" del dopo Pontida.

"La Lega non è più quella di una volta – sintetizza la ricercatrice – e anche a costo di pagare un prezzo altissimo, rimanendo con Berlusconi, ormai si è insediata a Roma e non ha nessuna intenzione di abbandonare il potere raggiunto". Possibile che Umberto Bossi non si sia accorto che nel 2013 l’attuale maggioranza di governo potrebbe perdere le elezioni? "Certo che Bossi lo sa – chiosa lei –, ma nel frattempo cerca di portarsi al Nord alcuni ministeri". Lynda Dematteo è l’autrice di "L’idiota in politica, antropologia della Lega Nord" (Feltrinelli). Il saggio, appena uscito con la prefazione di Gad Lerner, rintraccia nella semantica della Lega Nord le maschere della Commedia dell’arte, comprese quelle dei finti sciocchi. "Per me – spiega la studiosa – fare l’idiota è una forma di furbizia tipica delle maschere contadine, che facevano gli sciocchi per deridere i prepotenti e prendersi una rivincita, a volte del tutto simbolica. Io credo che l’insieme della matrice propagandistica della Lega si basi su questo moto culturale, assai elementare, che ricorda i copioni degli spettacoli dei burattini".

Ma se la Lega, come sostiene Dematteo, ha messo in scena la rivolta dei "fessi" del Nord, che ne avevano abbastanza di farsi fregare dagli "tagliani", dov’è la rottura, se poi è sempre a Roma che va in scena Scaramouche? "Il riferimento alla Commedia dell’arte – risponde – permette soprattutto di capire il modo di comunicare del partito, che talvolta può rivelarsi in contraddizione con l’operato amministrativo degli eletti. I leghisti mettono in scena la loro appartenenza a un territorio attraverso il linguaggio dialettale, che difendono. In questo senso, evocano le maschere con le radici autoctone più irriducibili. Ma la strategia dell’idiozia viene usata dagli esponenti della Lega quando a loro fa più comodo, poco importa che siano o meno nel governo. E alcuni, come Roberto Calderoli o Mario Borghezio, sono più propensi di altri a farlo. In questo modo, oltretutto, riescono ad attirare una grande visibilità mediatica. Ricordate il falò delle leggi inutili?".

Dopo i referendum, come si è notato a Pontida, si è alzato il livello di guardia della Lega. In realtà, uno dei nuovi accorgimenti è stato la ripulitura del linguaggio, in particolare da parte di Bossi, il cosiddetto rabdomante."Io credo che la Lega abbia sempre avuto un doppio linguaggio, un po’ come il Pci quando inneggiava alla rivoluzione e nel frattempo partecipava al governo del paese, in una sorta di consociativismo. Dal 2001, i leghisti hanno dovuto confrontarsi con il potere amministrativo, le sue difficoltà e le sue lentezze burocratiche, per portare a casa quello che a loro preme di più: una vera autonomia politica e finanziaria a livello regionale, visto che il federalismo fiscale è percepito dalla base leghista come il miglior modo di rompere con il paese del furto istituzionalizzato". Non solo. Con la crisi economica, i leghisti al potere hanno dovuto tener conto di forti opposizioni e, perciò, ridimensionare le loro ambizioni iniziali.

"Anche loro, per così dire, si sono dovuti sporcare le mani. Ormai, quindi, le contraddizioni della Lega sono sotto gli occhi di tutti e diventa sempre più difficile gridare ‘Roma ladrona’ stando alla guida del paese". Pontida come uno stress test? "È avvenuta la definitiva presa di coscienza del divario tra Lega di governo e Lega di lotta, così come non era mai apparso prima con altrettanta forza". La constatazione di questo divario interessa in particolar modo gli elettori della Lega e i moltissimi fra loro che sono iscritti alla Cgil. "Questo è un tipo di riflessione che non riguarda soltanto l’Italia – sottolinea Dematteo –. Il Front National, del resto, dichiara d’essere il primo partito operaio di Francia. In realtà, i lavoratori europei si sentono sempre più minacciati dalla globalizzazione. Le delocalizzazioni li mettono in concorrenza con i lavoratori dei paesi dove il costo della manodopera è molto più basso. Gli italiani, dal canto loro, temono la presenza sul loro territorio di una manodopera clandestina disponibile a lavorare senza regole.

La Lega, perciò, sfrutta queste paure, promettendo di rimandare a casa i clandestini. In un contesto oggettivamente critico, questi discorsi di chiusura seducono molte persone. Però, negli anni trenta, rinchiudersi non ci portò da nessuna parte e, piuttosto, alimentò le rivalità commerciali e le frustrazioni, finendo poi come tutti sappiamo". È evidente, comunque, che per molti la fenomenologia di quelli che furono negli anni 90 il successo e la presa popolare della Lega fosse già allora da mettere in relazione, almeno in alcuni punti di contatto, con il profilo gramsciano. La Dematteo, peraltro, sostiene senza mezzi termini il leninismo procedurale della Lega. "Anche se persegue scopi radicalmente diversi dalla sinistra – chiarisce l’antropologa –, la Lega Nord è un partito di tipo leninista: la leadership carismatica, la struttura piramidale che si dispiega a macchia d’olio sul territorio, il modo di fare propaganda dei militanti che apprendono e diffondono discorsi schematici, la volontà di inquadrare il quotidiano della gente attraverso forme di associazionismo.

Tutto questo è stato ideato molto tempo fa dal leader della Rivoluzione d’Ottobre e questa macchina da guerra politica, in cui Antonio Gramsci individuava un nuovo principe, permette alle classi popolari di concentrare il potere e di conquistare l’egemonia culturale, con l’obiettivo di uscire dal caos e formare nuove élite politiche. Questa stessa forma partitica è stata usata anche dai leader fascisti europei per contrastare l’avanzata del bolscevismo, ma con una differenza: le strutture fasciste, nel loro modo di funzionare, erano molto meno burocratizzate e razionali, come ha messo in evidenza Hannah Arendt nei suoi studi sul totalitarismo".