L’Slc compie vent’anni: è nato, infatti, nel giugno 1996, dalla fusione di due categorie, la Filis (federazione dei lavoratori dell’informazione e dello spettacolo) e la Filpt (federazione dei lavoratori delle poste e delle telecomunicazioni), come ha ricordato stamattina ai microfoni di Italia Parla, la rubrica quotidiana di RadioArticolo1, Massimo Cestaro, il segretario generale del sindacato della comunicazione Cgil, in occasione dell’assemblea nazionale di categoria, in corso di svolgimento (21-22 giugno) a Montecatini Terme, alla presenza di Susanna Camusso.

 

 

“Il bilancio dei primi vent’anni d’attività è più che positivo – ha detto il dirigente sindacale –, tant’è che ancora oggi Slc è probabilmente l’unico soggetto nel panorama politico in grado di avere una visione complessiva di tutta la filiera della comunicazione, dalla produzione alla distribuzione e alla commercializzazione. La nostra sfida si è in gran parte realizzata, riuscendo a diventare un sindacato anche di beni immateriali, vedi produzione culturale e informazione, oltre a rappresentare comparti più tradizionali, come i poligrafici, i lavoratori dello spettacolo, delle poste e dei call center, fino agli ultimi arrivati, i traduttori editoriali. Durante la prima giornata di celebrazioni, Fulvio Fammoni ed Emilio Miceli, i due primi segretari generali Slc, hanno rievocato la storia della categoria, con tutti i problemi che si originarono dal punto di visto organizzativo, dovendo mettere assieme gruppi dirigenti tra loro diversi. Oggi possiamo dire che ebbero coraggio e videro lungo, perché nell’ultimo ventennio i processi d’integrazione fra produttori di contenuti, nuove reti di comunicazione e lo sviluppo di sistemi d’informazione hanno visto un sindacato in grado di anticipare i processi di riorganizzazione del mondo del lavoro del sistema della comunicazione”.          

“Rispetto al ‘96, i lavoratori che rappresentiamo stanno peggio – ha detto l’esponente Cgil –, perché la crisi ha colpito pesantemente tutti i nostri settori, attraversati da profondissime trasformazioni tecnologiche. Si pensi solo all'editoria: vent’anni fa i giornali si stampavano ancora con le rotative a piombo, oggi si assiste a un vertiginoso aumento d’informazione consumata attraverso le nuove piattaforme digitali, e ognuno di noi possiede strumenti di comunicazione, come tablet e smartphone, a discapito dell’editoria tradizionale su carta, in forte e costante calo. Naturalmente ciò ha prodotto un processo d’impoverimento di tante professionalità legate alle vecchie tecnologie, e grazie a politiche contrattuali efficaci siamo riusciti a contenere i danni, che comunque ci sono stati. Se a ciò aggiungiamo la crisi generale del Paese e il crollo verticale del mercato pubblicitario, vitale per tutti i nostri comparti, le difficoltà permangono gigantesche”.

“La Rai continua ad essere la più grande industria culturale italiana – ha osservato il sindacalista –, e quindi lavoratori e cittadini dovrebbero avere la possibilità di esprimersi in merito. Ho impressione che questo non succederà. Il governo ha messo in piedi una sorta di convention, invitando rappresentanti di varie associazioni, alcune del tutto sconosciute, per fare un ragionamento sull’azienda e i contratti di servizio. Noi non sono stati chiamati, e alle nostre rimostranze Renzi ha risposto che non ci dobbiamo occupare di questioni aziendali. C’è la volontà di escludere le organizzazioni sindacali da un confronto ampio sul tema dello sviluppo del servizio pubblico radiotelevisivo, frutto di una combinazione pericolosa fra strumentalità e ignoranza, che credo sia uno dei mali della politica di questi tempi. In più, la riformina Rai sulla governance abroga due articoli delle leggi precedenti in cui si definiva il profilo di servizio pubblico radiotelevisivo: avviare adesso la fase di rinnovo della convenzione Stato-Rai senza un impianto legislativo, ci preoccupa molto”.

“La storia della nostra categoria annovera fatti molto importanti – ha ricordato il leader Slc –: uno su tutti, essere riusciti a inserire nella riforma degli appalti la clausola sociale per i call center. Un risultato straordinario per i lavoratori, ottenuto dopo tanti anni, con cui si definisce che in caso di cambio d’appalto permane la continuità del rapporto di lavoro. Adesso bisogna fare qualche passo avanti con il contratto delle tlc, che partirà a breve, dove chiediamo si definisca una sorta di certificazione dei call center rispettosi delle norme di legge e dei contratti. Se poi questo schema potesse essere utilizzato anche dalle aziende dell'energia, dai bancari, dalla pubblica amministrazione, e se magari avesse il timbro dei ministeri del Lavoro e dello Sviluppo economico, potremmo avere un impianto serio, dove la riforma che garantisce la continuità dei rapporti di lavoro diventi una sorta di ‘bollino blu’ per i call center in regola. In tal modo, riusciremmo ad avviare un processo positivo di consolidamento di quel mondo, fatto ancora di piccolissime aziende, spesso ai confini della legalità, che creano disturbo al mercato, vincono le gare al massimo ribasso, con forme di dumping contro le aziende più strutturate che fanno investimenti e provano a migliorare i servizi offerti ai cittadini, grazie anche alla formazione professionale”.  

“La privatizzazione di Poste italiane è una vicenda assai preoccupante – ha concluso Cestaro –. Siamo di fronte a un gruppo straordinario di 140.000 dipendenti, con potenzialità davvero notevoli, una rete informatica eccellente e migliaia di sportelli sul territorio, che garantisce un servizio di prossimità direttamente correlato all’utenza, gestendo il risparmio di milioni di cittadini. Nel processo in corso, che alla fine sarà d’integrale privatizzazione del gruppo, c’è il rischio che prevalga - com’è successo in altri casi -, la logica del massimo profitto, perché poi sono aziende che devono restituire dividendi, e in quel caso a farne le spese sarà il servizio universale, già in sofferenza rispetto alle attività finanziarie e al ramo assicurativo. È chiaro che una scelta così sbrigativa, che abbiamo l'impressione non abbia coinvolto nemmeno la dirigenza, si tradurrà in forme di best e bad company, rompendo l’unicità del gruppo. Su questo, stiamo organizzando assieme a Cisl e Uil una serie d’iniziative, con cui coinvolgeremo i sindacati dei pensionati e le associazioni dei consumatori, aprendo un confronto anche con i gruppi parlamentari e le commissioni di Camera e Senato competenti. Il Parlamento dovrà dare un suo parere: sappiamo per certo che se oggi si fa cassa, nel tempo il processo di privatizzazione causerà forti perdite delle entrate dello Stato. Noi abbiamo il dovere e l'obbligo di lanciare un grido d’allarme, anche perché le privatizzazioni precedenti - penso al mondo delle tlc - sono state un disastro”.