Pubblichiamo un estratto dall’introduzione a Hyman Philip Minsky, Combattere la povertà. Lavoro non assistenza, a cura di Laura Pennacchi e Riccardo Bellofiore, Ediesse 2014. Il volume sarà presentato a Roma martedì 3 febbraio presso la Cgil nazionale in corso d'Italia 25, alle ore 18 e alla presenza di Susanna Camusso. Parteciperanno, oltre ai curatori del libro, anche Claudio Gnesutta e Alessandro Roncaglia.

Occorre rilanciare un nuovo intervento pubblico. La creatività istituzionale del New Deal di Roosevelt – non poco stimolata da un vivace conflitto sociale, e che tanto influenzò la vita e il pensiero di Minsky – è un antecedente a cui ispirarsi. Allora la maggior parte delle iniziative di creazione di lavoro venne promossa dal governo federale, ma fu sponsorizzata dai governi locali e da agenzie federali, e intrapresa anche da organizzazioni non governative.

I programmi vennero modellati sulla base delle esigenze delle comunità: child care, health care, education, recreation, elder care, cultural enrichement, construction works, conservation measures, existing parks, new parks, public spaces. Si diede vita a soggetti che realizzarono risultati straordinari: la Civil Works Administration (Cwa, organizzata in Cwa worker e Cwa white collar), la US Coast and Geodetic Survey, il National Park Service, la Library of Congress, il Public Works of Art Project (che diede lavoro a 3.000 artisti disoccupati) e così via.

Anche il Piano del lavoro lanciato dalla Cgil nel 1949-50 aveva un simile spessore nella sua trama analitica e progettuale, frutto della collaborazione degli economisti più innovativi del tempo – Breglia, Steve, Fuà, Sylos Labini ecc. – provenienti dalle file del cattolicesimo democratico, del Partito d’Azione e di Giustizia e Libertà, del socialismo eterodosso.

È da segnalare che il Piano del lavoro venne, invece, accolto (con una paradossale convergenza) dall’ostilità di De Gasperi e della Dc di centrodestra e dalla freddezza di Togliatti e del Pci, nel quale una singolare inclinazione «liberal-einaudiana» – frutto della persistenza di una cultura economica di matrice veteromarxista e terzinternazionalista, a vocazione antimonopolistica e critica del capitalismo monopolistico di Stato – si era tradotta in una sordità verso le correnti keynesiane che venivano allora dagli Usa, dal Regno Unito, dalle socialdemocrazie scandinave (queste ultime all’avanguardia nelle realizzazioni del welfare state).

La creatività istituzionale del New Deal, così come l’inventiva del Piano del lavoro della Cgil, e quella con cui Ernesto Rossi coniugava la sua proposta di “Esercito del lavoro” alla generalizzazione del servizio civile, possono essere le fonti di inesauribile modernità a cui ispirarsi. L’idea del lavoro da creare deve essere molto ampia, comprensiva di attività spesso considerate non lavoro e non retribuite.

I progetti vanno costruiti su una miriade di esigenze, dalle reti alla ristrutturazione urbanistica delle città, dalle infrastrutture alla riqualificazione del territorio e del patrimonio culturale, dai bisogni emergenti – attinenti all’infanzia, all’adolescenza, alla non autosufficienza – al rilancio a fini di sviluppo del welfare state, per il quale, invece, vanno contrastate le persistenti intenzioni di privatizzazione, per esempio nella sanità. Un New Deal europeo può partire dai bisogni più urgenti: riassetto idrogeologico del territorio, risparmio energetico, reti, infrastrutture.

Per l’Italia, ad esempio, sarebbero molto importanti la riqualificazione e la manutenzione del patrimonio scolastico (qui due edifici su tre hanno più di trent’anni, mille scuole sono state costruite nell’Ottocento e più di tremila tra la fine dell’Ottocento e il 1920, di quasi settemila edifici non si conosce neanche la data di costruzione). Sempre in Italia l’apporto occupazionale che può dare la pubblica amministrazione può essere immediato e a costo zero.

Per avere 90 mila giovani occupati in più, basterebbe estendere a tutto il territorio nazionale la proposta della Toscana: consentire di andare in pensione nei prossimi tre anni a 20 mila dipendenti pubblici oggi costretti dalla riforma Fornero a prolungare l’attività lavorativa, con una riduzione del loro costo medio da 32 mila euro a testa a 24 mila e un risparmio medio di 8 mila. Poiché ogni tre lavoratori in pensione consentono di recuperare 24 mila euro, pari al costo di un giovane appena assunto, si potrebbero assumere nel triennio 7 mila giovani.

Tutto questo va controcorrente? Certamente sì, ma proprio qui sta la suggestività della sfida. In ogni caso l’importante è cominciare, anche perché, come ci insegna Minsky, qui il gioco è davvero a somma positiva: le energie e le forze rispondono a un appello alla mobilitazione. Una volta sollecitate, non solo non si esauriscono, ma si riproducono moltiplicandosi.