“Dai conflitti di lavoro ai conflitti oltre il lavoro? Suggestioni dalle lotte recenti”. È il titolo del convegno che si terrà il 17 febbraio alle 14,30 a Roma presso il Dipartimento di Scienze sociali ed economiche dell’Università di Roma La Sapienza, a partire dai temi del numero 3 dei Quaderni di Rassegna Sindacale. Interverranno Aris Accornero, Nino Baseotto, Mimmo Carrieri, Gian Primo Cella, Antimo Luigi Farro, Elena Montecchi e Umberto Romagnoli.

I nuovi conflitti che vengono da oltre il confine nazionale sostituiscono o si sommano a quelli legati al lavoro? È attorno a questo quesito che si possono leggere i diversi contributi del numero monografico dei Quaderni di Rassegna Sindacale (il n. 3), che hanno l’intento di dimostrare che i conflitti di lavoro continuano a esistere, ma – a differenza di quelli del passato, che erano connotati come conflitti industriali ed erano centrali – oggi vanno visti nel contesto di distribuzione delle forze economiche sul piano mondiale.

Dunque, la nuova tipologia di conflitti è da ritenere, sul piano generale, come espressione di grandi problemi e hanno l’intento di denunciare i poteri di quelle forze sistemiche globali che controllano gli orientamenti dello sviluppo su scala mondiale e condizionano l’esistenza stessa dei singoli e dei nuovi movimenti (vedi l’Alterglobal, il 15-M Indignados e Occupy Wall Street), i quali tentano di costruire conflitti e sperimentano nuove forme di democrazia.

L’attualità di queste nuove forme di conflitto pone degli interrogativi cogenti al sindacato, che deve interrogarsi sulla loro natura, per verificarne le affinità, a partire dalle recenti forme di lotta. Una prima considerazione a riguardo è dettata dalla crescita del livello culturale delle lavoratrici e dei lavoratori, che porta a una maggiore richiesta di consapevolezza sulle azioni da mettere in campo.

Una seconda considerazione rimanda a un tema di attualità: il nesso che esiste tra la rappresentanza e la crisi di management. Rischia di essere sterile una mera rappresentanza che si eserciti solo sulla contrattazione, in questo caso intesa come effetto secondario di un processo decisionale. Al contrario, la funzione della rappresentanza produce i suoi effetti se incide sui processi decisionali delle governance delle imprese. Occorre, dunque, una visione più ampia di governo dei processi produttivi e dell’organizzazione del lavoro.

Le azioni conflittuali realizzatesi nei confronti della Fiat hanno sì dimostrato che il patrimonio dei conflitti legati al lavoro continua a essere importante, ma deve anche saper guardare ai messaggi che vengono dalle nuove forme di conflitto, ovvero:
•    evitare la contrapposizione tra insider e outsider;
•    agevolare l’affermazione soggettiva di chi è implicato singolarmente per poter mettere in evidenza la propria dignità e i propri diritti;
•    superare l’assenza di integrazione tra coloro che si battono e le controparti. Spesso l’azione conflittuale non riesce a condizionare le politiche aziendali e gli effetti della contrattazione vengono vanificati dai processi decisionali del management, che fanno prevalere solo le logiche aziendali.

La rappresentanza deve pretendere garanzie nella discussione di temi legati all’organizzazione del lavoro, per trasformare la sua azione come occasione di consolidamento e stabilità del contratto. Per realizzare questo obiettivo, non sono sufficienti le forme di lotta per ottenere la legittimazione della contrattazione di secondo livello. Questo livello negoziale può non essere sufficiente. È allora necessario coinvolgere le lavoratrici e i lavoratori a forme di lotta che affrontino determinate problematiche a monte: chi decide le strategia delle imprese? Sono queste strategie che producono le crisi aziendali con tutte le conseguenze sui diritti di chi lavora.

*Capo redattore dei Quaderni di Rassegna Sindacale-Lavori